• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio. (In applicazione di detto principio, la S.C., ha cassato la sentenza impugnata che, in relazione ad una fattispecie in cui il danneggiato da un sinistro stradale si era successivamente tolto la vita e, dopo aver affermato che le conseguenze del sinistro avevano contribuito – come movente ultimo – al suicidio della vittima, aveva attribuito efficacia di concausa alle “condizioni personali” e allo sconvolgimento dovuto ad altre vicende familiari, riducendo significatviamente il risarcimento in favore dei congiunti).

(Cass. civ., Sez. III, Sent., 24/02/2023, n. 5737).

  • La vicenda processuale

1. Allianz Assicurazioni Spa proponeva davanti alla Corte di appello di Messina gravame avverso sentenza del 29 ottobre 2018 emessa dal Tribunale di Patti, che, accogliendo domanda risarcitoria proposta, in proprio e quali eredi dei parenti F.F. e G.G., da A.A., B.B., C.C. e D.D. – nelle more poi deceduta, subentrandole come eredi i suoi figli A.A., B.B. e C.C., nei confronti di E.E. e Allianz Assicurazioni, detratto un versato acconto, li aveva condannati in solido a corrispondere la somma di Euro 1.250.168,83 oltre accessori, in particolare per lesioni e postumi subiti da F.F. a causa di un sinistro stradale avvenuto il (Omissis) e per il danno parentale degli altri derivato dal suicidio di F.F. compiuto il (Omissis), riconoscendo il nesso causale tra i postumi del sinistro e il suo suicidio.

Davanti alla corte territoriale si costituivano A.A., B.B. e C.C., in proprio e quali eredi della madre deceduta, resistendo e proponendo appello incidentale.

La Corte d’appello, con sentenza del 3 aprile 2020, in parziale accoglimento di entrambi i gravami, decideva come segue:

1) confermato che del sinistro stradale esclusivo responsabile era E.E., condannava solidalmente quest’ultimo e la compagnia Allianz a risarcire ai H.H., quali eredi di F.F. e di D.D., nella quota di un terzo ciascuno, la somma di Euro 98.889,70 quale risarcimento del danno non patrimoniale da postumi, da cui detrarre la somma di Euro 59.521,58, con rivalutazione del residuo e interessi;

2) condannava gli stessi in solido a corrispondere ai H.H., nella stessa qualità e per un terzo ciascuno, la somma di Euro 36.960 per danno non patrimoniale da inabilità temporanea, oltre accessori;

3) condannava ancora i suddetti in solido a pagare ai H.H., per un terzo ciascuno, la somma di Euro 15.000 per danno patrimoniale da mancato guadagno durante l’inabilità temporanea di F.F., oltre accessori;

4) condannava sempre i suddetti in solido a pagare ai H.H., per un terzo ciascuno, la somma di Euro 597,27 per le spese sanitarie conseguenti al sinistro stradale, oltre accessori;

5) dichiarava che il successivo evento morte di F.F. si era verificato per fatto riconducibile al sinistro stradale nella misura di un terzo;

6) condannava conseguentemente E.E. e Allianz, in solido, a corrispondere ad ognuno dei H.H. la somma di Euro 46.666,66 rappresentante un terzo del risarcimento del danno morale c.d. parentale, oltre ad accessori;

7) condannava ancora i suddetti in solido a corrispondere ai H.H., in proprio e quali eredi di D.D., la somma di Euro 32.395 oltre accessori, per un terzo ciascuno, quale risarcimento del danno morale c.d. parentale da lei patito;

8) rigettava la domanda di risarcimento dell’analogo danno morale c.d. parentale che avrebbe patito G.G., “perchè non compresa tra le richieste attoree”;

9) condannava sempre i suddetti in solido a corrispondere ad ognuno dei H.H. la somma di Euro 6666,66, oltre accessori, rappresentante un terzo del risarcimento del danno economico iure proprio subito quale conseguenza della morte di F.F.;

10) condannava ancora i suddetti in solido a corrispondere ai H.H., nella quota di un terzo ciascuno, la complessiva somma di Euro 1000, quale importo attualizzato del risarcimento del danno patrimoniale derivante da spese funerarie, oltre interessi;

11) condannava in solido gli stessi a rifondere ai H.H. la metà delle spese di lite del primo e del secondo grado, l’altra metà compensandola.

2. A.A., B.B. e C.C. hanno proposto ricorso, articolato in quattordici motivi. Gli intimati non si sono difesi.

Il Procuratore Generale ha concluso per iscritto nel senso dell’accoglimento del quinto, del sesto, del settimo e del tredicesimo motivo, disattesi gli altri.

  • I Motivi della decisione

3. Il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1176 c.c. e segg., art. 2697 c.c., artt. 115 e 167 c.p.c., art. 111 Cost.. Il motivo è esposto in modo alquanto esteso (ricorso, pagine 16-22), e si riassume pertanto come segue.

La censura riguarda il pagamento ai danneggiati della somma di Euro 54.110,53, compiuto ante causam dalla compagnia assicuratrice. In appello quest’ultima avrebbe prodotto un documento per provarlo, ponendo alla corte territoriale “la questione dell’importo che sarebbe stato concretamente corrisposto al danneggiato, ma di fatto ai suoi aventi causa” (così si rinviene a pagina 21 della sentenza).

La Corte al riguardo osservava (pagine 21-22 della pronuncia): “Se gli appellati (principali) giustamente obiettano come – ratione temporis – il presente giudizio d’appello non possa giovarsi del requisito della “indispensabilità” affinchè si consenta l’allegazione di un nuovo documento, quale è quello che dovrebbe provare la corresponsione del (secondo) importo di Euro 54.521,58, è pur vero che il principio di non contestazione era stato solo “normato” nel 2009, ma già presente era nel dato giurisprudenziale, ed anche nei riti ordinari” (venivano qui citate SS.UU. 23 gennaio 2002 n. 761 e 23 gennaio 2014 n. 12065). Proseguiva la Corte: “Peraltro, proprio in ordine alla responsabilità nel sinistro stradale, gli stessi appellati hanno inteso avvalersi anche del principio per addebitarla totalmente al E.E., e senza alcuna incertezza che potesse derivare dall’epoca di instaurazione del giudizio (anno 2004). Il principio valeva quindi anche per l’allora parte attrice, che già dalla comparsa di risposta dell’assicuratore convenuto si vedeva opposto un avvenuto pagamento non limitato agli iniziali cinquemila/00 Euro”. Ritenuto poi inidoneo a provare quel pagamento il documento prodotto in appello da Allianz, la corte territoriale afferma che “dovrà rilevarsi come l’assicuratore nessuna esigenza avesse avuto in prime cure di fornire dimostrazione di quel secondo pagamento, proprio perchè mai contestato da controparte”. Di qui la detrazione di tale somma da quanto spettante ai H.H..

Il motivo censura questo ragionamento del giudice d’appello adducendo che prima della novella del 2009 che ha inciso sull’art. 115 c.p.c., comma 1, “un fatto avrebbe potuto dirsi “non contestato” nè a fronte del silenzio e nemmeno a fronte di una contestazione generica, ma solo a fronte di una esplicita ammissione o di una difesa incompatibile con la negazione”, per cui “al tempo, era… indubitabile che il “silenzio” non avrebbe avuto conseguenze sull’onere della controparte di provare i fatti a fondamento (della domanda come) dell’eccezione (qui) di pagamento”. I ricorrenti sostengono altresì che non sarebbe corretta la citazione giurisprudenziale operata dal giudice d’appello in ordine a tale questione.

4.1 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 40 e 41 c.p..

La corte territoriale ha affermato (pagina 26 della sentenza impugnata) che le conseguenze del sinistro “contribuirono, come movente ultimo, al compimento del suicidio” da parte di F.F.; ritenuto però che quella non fu “unica causa”, attribuisce ad essa l’incidenza di un terzo, identificando i restanti due terzi nelle “condizioni personali” e nell’ulteriore sconvolgimento derivato dalla grave malattia del padre” (pagine 26-27).

Si oppone che Cass. 28986/2019 insegna che l’accertamento del nesso causale materiale deve espletarsi ai sensi dell’art. 41 c.p., che non consente l’alternativa: a) se si accerta che la causa naturale esclude il nesso causale tra condotta ed evento, la domanda va rigettata; b) se la causa naturale non è stata esclusiva ma solo concorrente rispetto all’evento, “la responsabilità dell’evento sarà per intero ascritta all’autore della condotta illecita”, per cui viene “esclusa la possibilità di qualsiasi riduzione proporzionale della responsabilità” per la minore incidenza dell’apporto causale del danneggiante, perchè “una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti” è possibile soltanto “tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile”.

Inoltre, “sottraendo” il sinistro dalla sequela, i dati deporrebbero a favore dell’ipotesi che non vi sarebbe stato suicidio e che F.F. avrebbe continuato a lavorare e a prendersi cura della propria famiglia.

4.2 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., violazione dell’art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c..

Il peso causale di due terzi riconosciuto al “contesto di già apprezzabile difficoltà, personale e familiare e per tutti economica” (così la sentenza impugnata, a pagina 27) sarebbe ad avviso dei ricorrenti “contraddetto da tutti i fatti accertati”.

Comunque la corte territoriale avrebbe violato pure l’art. 41 c.p., comma 2, “che, al più, avrebbe consentito di far ricorso alla (presunzione di) equivalenza” delle concause accertate – cioè le conseguenze del sinistro e la situazione personale di F.F. -, laddove nel caso in esame vi sarebbe addirittura prevalenza, ovvero due terzi.

Il giudice d’appello, a pagina 27 della sentenza, afferma che i postumi del sinistro hanno accentuato “la gravità di un contesto”. Si dovrebbe pertanto ritenere il sinistro una causa sopravvenuta, sufficiente o almeno assolutamente prevalente. Invece la corte territoriale, anzichè “isolare” tra tutte quelle possibili le conseguenze dannose del sinistro (come ancora avrebbe dovuto apprendere da Cass. 28986/2019), ha “stimato” in un terzo il “contributo causale” di esse rispetto al suicidio. Tale stima violerebbe gli artt. 40 e 41 c.p., ma pure gli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.; la liquidazione delle conseguenze dannose, disciplinata da queste ultime norme, dovrebbe ritenersi logicamente posteriore all’accertamento del nesso causale, al quale invece il giudice d’appello si sarebbe fermato. Pertanto il ricorso all’equità per stimare gli apporti delle varie concause (artt. 40 e 41 c.p.) sarebbe illegittimo.

L’equità inoltre esigerebbe “ostensione del procedimento logico-giuridico” e “un’adeguata ponderazione di tutte le circostanze del caso”, il che non sarebbe qui avvenuto.

Ancora, la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore perchè stima quel che definisce “concause” non riferendosi all’evento dannoso (la morte di F.F.) e alle conseguenze dannose che individua nella sua perdita, bensì riferendosi alla “condizione personale del danneggiato” e al “contesto di già apprezzabile difficoltà” quale movente della decisione suicidaria. Tuttavia, se “più propriamente” ci si riferisse all’evento dannoso, emergerebbe che soltanto l’aggravamento della situazione sarebbe stata la causa (sopravvenuta) della morte di F.F.: infatti lo stesso giudice d’appello, a pagina 26 della sentenza, afferma che solo il sinistro ha “destabilizzato le condizioni di vita e soprattutto psicologiche” di F.F..

4.3 Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., artt. 40 e 41 c.p., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 1227 c.c., violazione dell’art. 2697 c.c., e violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c..

In conseguenza di quanto sopra esposto, la motivazione sulle cause del suicidio sarebbe “meno che apparente” e affetta da alta contraddittorietà/incomprensibilità. Il motivo riporta alcuni passi della sentenza per dimostrare tale asserto.

5. Il quinto motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 342 e 343 c.p.c., e denuncia altresì violazione degli artt. 1362 c.c. e segg., e degli artt. 2043 e 2059 c.c..

Il Tribunale aveva liquidato per G.G. – morto poco tempo dopo il suicidio del figlio – Euro 80.000 per il risarcimento dei danni derivati dalla morte di F.F..

La corte territoriale ha accolto l’ottavo motivo dell’appello di Allianz in riguardo “ad un dato letterale e ad un contenuto anche sostanziale dell’atto introduttivo che avrebbe dovuto esplicitamente articolare la pretesa come estesa al danno morale patito dal padre” (così a pagina 28 della sentenza impugnata).

Oppongono i ricorrenti che nell’atto di citazione si era chiesto di “dichiarare che i convenuti sono responsabili dei danni patiti da F.F. e dai suoi familiari, come indicati e specificati in narrativa” e “conseguentemente” di condannare “a risarcire agli attori tali danni, iure proprio e iure ereditatis (sic)”.

Osservano che è indiscusso che G.G. fosse padre, e quindi “familiare” di F.F.. Inoltre nella comparsa d’appello (pagine 30-31) essi stessi avrebbero affermato di avere “sempre ritenuto e dichiarato d’agire anche quali eredi” di G.G., tant’è che quando dichiararono di accettare avrebbero allegato certificato di morte di G.G.. In atto di citazione lo avrebbero definito marito e padre e avrebbero chiesto appunto la condanna per i danni iure proprio o iure hereditatis “senza far distinzioni tra l’eredità di F.F. e di G.G.”; e su ciò la compagnia nulla avrebbe contestato.

La causa petendi della domanda risarcitoria “comprendeva la delazione dell’eredità di G.G.”, e il petitum consisteva nei “danni patiti da F.F. e dai suoi familiari”: e ciò avrebbe dovuto essere interpretato ai sensi degli artt. 1362 c.c. e segg..

6. Il sesto motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 112, 342 e 343 c.p.c., nonchè degli artt. 183 e 190 c.p.c., e ancora violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c..

Anche questo motivo è dedicato alla critica della mancata condanna di controparte a risarcire il danno che avrebbe patito G.G., sostenendo inammissibile il relativo motivo d’appello presentato da Allianz, perchè non corrisponderebbe al contenuto effettivo della domanda, negandovi l’inclusione dei danni che avrebbe subito G.G..

7. Il settimo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè degli artt. 342 e 343 c.p.c., e altresì violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., per non avere il giudice d’appello accolto il secondo motivo dell’appello incidentale che chiedeva un aumento del quantum risarcitorio dovuto agli attuali ricorrenti in quanto eredi di G.G., essendo ingiusta la liquidazione operata dal Tribunale.

8. L’ottavo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 112, 342 e 343 c.p.c., nonchè violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c..

Si chiede di accertare, rectius confermare l’insorgenza della depressione maggiore in F.F., perchè, anche se fosse superfluo ritenere esistente un nesso causale tra le conseguenze del sinistro stradale e il suicidio, sarebbe stato comunque necessario per liquidare esattamente l’invalidità permanente di F.F., come chiesto nell’appello incidentale (motivi terzo e secondo). La corte territoriale avrebbe omesso la pronuncia laddove afferma, a pagina 25 della sentenza: “non decisivo resta indagare, e tantomeno stabilire, se fosse insorta una patologia depressiva come conseguenza del sinistro”.

9. Il nono motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 2043 e 2059, nonchè dell’art. 2909 c.c..

Il Tribunale avrebbe riconosciuto che dopo l’incidente F.F. sarebbe caduto in depressione, e il giudice d’appello non avrebbe (“pare”) revocato questo suo accertamento. Pertanto si sarebbe dovuto liquidare il risarcimento per tale malattia.

10. Il decimo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c..

Nel caso opposto a quello prospettato nel motivo precedente, ovvero qualora si ritenga che il giudice d’appello non abbia aderito all’accertamento del primo giudice sulla depressione, la corte territoriale avrebbe errato perchè apoditticamente escluso “sicuro segno” nelle testimonianze dei due medici, così violando il principio del “più probabile che non”, tanto più che la depressione qui sarebbe stata sussistente oltre ogni ragionevole dubbio.

Si critica la valutazione delle prove operata dalla corte, osservando pure che essa ha definito “dato obiettivo” l’assenza di certificazione sanitaria e di riscontro di relative terapie, anche su questo censurando sulla base di una diversa visione del compendio probatorio che dimostrerebbe la sussistenza della depressione maggiore.

11. L’undicesimo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè violazione dell’art. 116 c.p.c..

Sulla questione prospettata dalla censura precedente la motivazione sarebbe “meno che apparente”, oltre che incomprensibile per grave contraddittorietà. Le testimonianze dei medici sarebbero state assimilabili alla consulenza tecnica d’ufficio; si argomenta ancora ampiamente su vari elementi probatori, anche riguardanti la situazione di G.G., oltre che sulla depressione e i suoi sintomi, ipotizzando pure la rinnovazione della consulenza che, se avesse avuto dubbio, il giudice d’appello avrebbe dovuto disporre.

12. Il dodicesimo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c..

La Corte d’appello ha accolto il terzo motivo d’appello principale relativo alla liquidazione del danno morale di F.F. in Euro 200.000, affermando che si sarebbero dovute seguire le tabelle, che tengono conto delle specificità con la “personalizzazione”. Ciò sarebbe errato “perchè il danno morale terminale o catastrofale non è compensato dalle tabelle” (si invocano Cass. nn. 28989, 23153 e 21837 del 2019) e comunque la personalizzazione nel caso in esame sarebbe stata rapportata solo alle fratture, non tenendo in conto quindi nè la sofferenza derivata dalla grave depressione nè l’invalidità al 100% che questa avrebbe cagionato.

Si trascrive il secondo motivo dell’appello incidentale con cui si era chiesto il risarcimento per le sofferenze terminali, cioè le “sofferenze morali” che avrebbero indotto F.F. al suicidio.

13. Il tredicesimo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione degli artt. 112, 342 e 343 c.p.c., violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c..

La Corte d’appello ha giustamente liquidato il danno da perdita del congiunto in applicazione delle tabelle, ma non ha concesso alcunchè per quanto riguarda i danni morale ed esistenziale derivanti dalla malattia di F.F., per cui vi sarebbe stato il secondo motivo d’appello incidentale. Il secondo giudice infatti si è limitato ad affermare nelle pagine 29 s. della sentenza: “Altre causali variamente qualificate (“esistenziale proprio”) rientrano nel c.d. parentale”.

14. Il quattordicesimo motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè del D.M. n. 55 del 2014, affermando che deve nuovamente liquidarsi l’importo delle spese di primo e di secondo grado ed escludendo reciproca soccombenza.

15. Seguendo il principio della ragione più liquida, emerge ictu oculi l’opportunità di vagliare subito e congiuntamente il secondo, il terzo e il quarto dei motivi proposti nel ricorso.

15.1 Sulla causazione del suicidio il giudice d’appello (pagine 24ss. della sentenza) dichiara di condividere ma soltanto parzialmente il riconoscimento di un nesso col sinistro stradale.

Premesso che non sempre un suicidio deve avere come base “una vera e propria patologia depressiva”, la corte territoriale definisce “dato obiettivo, e per ciò innegabile” il fatto che dal fascicolo emerge che non vi fu una certificazione sanitaria di tale patologia e che non vi sono documenti attestanti “relative terapie praticate” o “assunzione dei farmaci del genere”; sussistono “(solo) deposizioni testimoniali” di due medici, “che sarà pur vero” che possano comunque diagnosticarla “anche se non specialisti”, ma quanto constatato nel comportamento di F.F. “non necessariamente… sarebbe stato sicuro segno di una insorta depressione (sbalzi di umore: mutamento nel carattere e nell’atteggiamento od anche manifestazione di vergogna per la condizione fisica, rifiutandosi di uscire, e restando in casa anche al buio)”.

Reputa inoltre la corte che non vi sia la prova di prescrizione “di ansiolitici e qualche volta di antidepressivi… prescritti; così come inascoltato sarebbe rimasto il consiglio di effettuare una visita neurologica”.

Comunque – osserva ancora la corte – “non necessariamente una insorta depressione avrebbe dovuto essere diagnosticata per qualificare le conseguenze del sinistro stradale come causa” del suicidio: non sarebbe pertanto “decisivo” accertare “se fosse insorta una patologia depressiva come conseguenza del sinistro”. Inoltre, “in caso di sussistenza di una simile patologia, neppure sarebbe da escludere una sua preesistenza al sinistro stradale e motivata dalle (da tutti riconosciute) difficili condizioni personali e familiari… con in questo caso un possibile aggravamento” generato dal sinistro. Infatti “l’assenza di suddetti segnali e sintomi nel comportamento del soggetto prima del sinistro, ed anzi in un soggetto che responsabilmente aveva deciso liberamente di assumere… oneri… nell’interesse della famiglia, individuano (sic) di più il sinistro stradale come evento che abbia destabilizzato le condizioni di vita e soprattutto psicologiche del F.F.”. Come ritenuto pure dal Tribunale, “non potrebbero quindi non essere pure valutate le condizioni personali, psicologiche e familiari precedenti al sinistro stradale, perchè già assunte dal F.F. quelle decisioni che gli stessi appellati ricordano” e che lo avevano indotto a dedicarsi unicamente “al benessere anche economico della famiglia” quando era venuto meno l’apporto del padre G.G. per sua grave malattia e tutti i fratelli di F.F. erano minori di età. “Pur prescindendo da uno stato depressivo e non avendo provocato una simile patologia, le conseguenze del sinistro stradale vennero ad inserirsi in una già seria e complicata condizione personale del danneggiato ed esse di certo contribuirono, come movente ultimo, al compimento del gesto, ma non ne potè (sic) rappresentare l’unica causa. Se non sino a giungere ad uno stato depressivo, la condizione psicologica del F.F. era di già debole e precaria… per le descritte difficoltà della famiglia e per i gravosi impegni che perciò egli si era assunto”. E “solo in questi termini”, secondo il giudice d’appello, si spiega il suicidio del “soggetto che precedentemente mai alcun segno di sofferenza psicologica o nel comportamento aveva manifestato” e che aveva subito postumi del sinistro stradale non elevatissimi e non “preclusivi” o “limitativi” delle sue precedenti attività.

Conclude pertanto la corte territoriale a pagina 27 della sentenza: “Deve quindi ritenersi che, anche in ragione di una correlazione che deriva obiettivamente da un dato temporale, i postumi del sinistro abbiano contribuito e la loro entità, pur obiettivamente non devastante, sia stata capace di accentrare la gravità di un contesto di già apprezzabile difficoltà personale, familiare e per tutti economica, anche derivata ed anzi accentuata dalla grave patologia insorta nel genitore. Da un lato, la gravità della preesistente situazione e, dall’altro, la non gravissima od elevatissima entità dei postumi anche considerando che nessuna emergenza si ha che il F.F. in futuro non potesse essere in grado di svolgere la propria attività… induce a stimare in un terzo il contributo causale al suicidio, assegnando i restanti due terzi alle condizioni personali della stessa vittima ed all’ulteriore sconvolgimento derivato dalla grave malattia del padre”.

15.2 La questione verte, evidentemente, sulla concorrenza causale.

La recente Cass. sez. 3, 22 novembre 2019 n. 30521 – così masssimata: “In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poichè una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio” – e già ben prima Cass. sez. 321 luglio 2011 n. 15991 – a sua volta massimata come segue: “In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre “ipso facto” ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del “quantum” risarcitorio” – si sono chiaramente espresse, in senso del tutto condivisibile cui questo collegio intende dare continuità, per escludere la configurabilità della concorrenza di cause naturali con le cause umane nella determinazione della causazione materiale (cfr. pure 6-3, ord. 20 novembre 2017 n. 27524 e 3, ord. 22 dicembre 2017 n. 30922).

16. I motivi secondo, terzo e quarto risultano dunque fondati, in piena erroneità il giudice d’appello avendo ricostruito la causazione del suicidio di F.F..

Ne consegue, accolti i suddetti motivi e logicamente assorbiti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.

  • P.Q.M.

Accoglie i motivi secondo, terzo e quarto del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, alla Corte d’appello di Messina.

  • Gli Argomenti trattati

- RESPONSABILITA' CIVILE - CAUSALITA' (NESSO DI) Condizioni ambientali e fattori naturali - Sufficienza nella causazione del danno - Responsabilità dell'agente - Esclusione - Fondamento - Concorso tra una causa naturale e una causa umana imputabile - Graduazione di responsabilità - Esclusione - Fondamento - Conseguenze - Ricorso a criteri equitativi nella graduazione della responsabilità - Esclusione - Fattispecie..

  • I riferimenti normativi

- Cod. Civ. art. 2043 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2059 CORTE COST., Cod. Civ. art. 2697 CORTE COST., Cod. Pen. art. 40, Cod. Pen. art. 41.

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