• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

Nel contratto di mutuo, l’unicità dell’obbligazione di pagamento dei ratei (il cui debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata) fa sì, da un lato, che la prescrizione del diritto al rimborso della somma mutuata inizi a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, e dall’altro che, con riguardo agli interessi previsti nel piano di ammortamento, non operi la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c..

(Cass. civ., Sez. III, Ord., 10/02/2023, n. 4232).

  • La vicenda processuale

1. L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha proposto appello avverso la sentenza n. 1752-2016 emessa dal Tribunale di Taranto, con la quale, in accoglimento della domanda subordinata avanzata dal Comune di (Omissis), era stato dichiarato estinto per prescrizione il credito di Euro 42.450,96, oltre interessi, derivante da contratto di mutuo originariamente acceso con l’Inpdap. 2. La Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto respingendo la domanda di accertamento negativo proposta dal Comune di (Omissis) e accogliendo quella riconvenzionale avanzata dall’Inpdap, ha condannato l’Ente locale al pagamento della complessiva somma di Euro 42.450,98, oltre interessi, dalla scadenza delle singole rate di ammortamento.

In particolare, i giudici di secondo grado hanno osservato, facendo espresso riferimento all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che nel contratto di mutuo la prescrizione decennale del diritto al rimborso della somma mutuata iniziava a decorrere dalla scadenza dell’ultima rata, configurando il pagamento dei singoli ratei un’obbligazione unica e non determinando la rateizzazione in più versamenti periodici il frazionamento in distinti rapporti obbligatori. Hanno poi rilevato che l’Inpdap aveva interrotto la prescrizione con note del (Omissis), n. (Omissis) e del (Omissis), n. (Omissis), nonchè, dopo la scadenza del piano di ammortamento, del (Omissis), del (Omissis) e del (Omissis), cosicchè il credito non poteva ritenersi prescritto, specificando che nella nota contabile di “accertamento morosità” n. (Omissis), l’Ente previdenziale aveva quantificato in Euro 42.450,98 l’importo dovuto alla data del (Omissis).

3. Avverso la suddetta decisione il Comune di (Omissis) ricorre per cassazione, con tre motivi.

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale non ha svolto attività difensiva in questa sede.

4. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

  • I Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune ricorrente deduce che la Corte territoriale, accogliendo la domanda riconvenzionale proposta dall’Ente mutuante, ha violato l’art. 2935 c.c., che fa decorrere il termine prescrizionale “dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, e sostiene che, nel caso di specie, il diritto al rimborso dei ratei del mutuo, scaduti negli anni 1981, 1982 e 1983, ben avrebbe potuto essere fatto valere sin dalla data della relativa scadenza, senza dover attendere la scadenza dell’ultima rata del mutuo. A supporto di tale tesi difensiva evidenzia che, sebbene sia stata prevista la scadenza integrale del pagamento dell’ultima rata del mutuo al (Omissis), l’Inpdap aveva già diffidato il Comune al pagamento delle rate scadute relative all’anno 1983 con nota prot. (Omissis) in data (Omissis) e con nota prot. (Omissis) in data (Omissis), senza attendere la scadenza dell’ultima rata di mutuo.

Aggiunge che la regola prevista dall’art. 2935 c.c. prescinde dalla natura delle obbligazioni e si incentra esclusivamente sulla circostanza che il diritto (alla prestazione) possa essere o meno azionato, facendo decorrere il termine prescrizionale dal momento in cui tale diritto può essere validamente esercitato, a nulla rilevando che si tratti di un’obbligazione unica o periodica. Risultando accertato e non contestato, con riguardo ai ratei del mutuo scaduti negli anni dal 1981 al 1983, che le diffide di pagamento erano tutte intervenute con ritardo, ben oltre il termine prescrizionale decennale, decorrente dalla loro scadenza ed esigibilità, ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata deve essere riformata sia nella parte in cui fa decorrere il termine di prescrizione “dall’ultima rata prevista dal piano di ammortamento, cioè dal 31.12.1999”, sia nella parte in cui non ha considerato l’inefficacia, quale atto interruttivo, della nota ministeriale del 19 ottobre 1992.

Facendo rilevare che l’orientamento giurisprudenziale sulla questione prospettata non è univoco, chiede la rimessione della stessa alle Sezioni Unite.

2. Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per violazione ed errata applicazione dell’art. 2948, n. 4, c.p.c., il Comune ricorrente lamenta che i giudici d’appello hanno ritenuto applicabile il termine decennale di prescrizione, non soltanto al debito derivante dal rimborso delle rate del mutuo, ma anche a quello relativo al pagamento degli interessi (compensativi e moratori) previsti nello stesso contratto. Evidenzia, al riguardo, che se, da un lato, nel contratto di mutuo non è insita la periodicità della prestazione, prevista dal citato art. 2948 c.c., dall’altro la stessa disposizione normativa distingue al n. 4 “gli interessi” da “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, facendo in tal modo intendere che il debito per interessi non richiede, ai fini dell’applicabilità della norma sul termine breve di prescrizione, che l’obbligazione da cui dipende sia periodica, poichè, una volta sorto e maturato, acquista una propria autonomia, anche se non deriva da un’obbligazione che deve essere adempiuta “periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Sostiene, pertanto, che del tutto correttamente, il giudice di primo grado aveva ritenuto estinto per prescrizione il debito per interessi, dopo aver accertato sempre escludendo che fosse stata provata la trasmissione al debitore della nota ministeriale in data 19 ottobre 1992 – che potessero avere valore interruttivo soltanto le note del (Omissis) e del (Omissis), rispetto alle quali le successive diffide del (Omissis), del (Omissis) e del (Omissis) risultavano tardive, perchè intervenute oltre il termine di prescrizione quinquennale previsto dal richiamato art. 2948, n. 4, c.c..

3. Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 167, comma 2, c.p.c. e 112 c.p.c. Segnatamente, sottolinea che l’Inpdap non aveva mai precisato per quali ragioni ed a quali titoli fosse dovuta dal Comune la somma complessiva di Euro 42.450,98 richiesta con la nota contabile del (Omissis) ed oggetto della domanda riconvenzionale. Prima della proposizione della domanda giudiziale di primo grado, l’Inpdap, con nota del (Omissis), aveva richiesto al Comune il pagamento della complessiva somma di lire 343.392.296; con successiva nota del (Omissis), aveva ridotto la somma totale pretesa ad Euro 107.031,05 e, con avviso del (Omissis), aveva nuovamente rettificato le proprie richieste, pretendendo la somma di Euro 103.083,49; infine, con avviso del (Omissis), aveva ulteriormente ridotto il presunto credito alla somma di Euro 42.450,98. L’Inpdap non aveva, quindi, precisato con sufficiente certezza “l’oggetto ed il titolo della domanda riconvenzionale” ed il giudice, non avendo assegnato un termine perentorio per integrarla, aveva violato l’art. 112 c.p.c., poichè, in mancanza dell’esatta delimitazione della domanda riconvenzionale, non era possibile rispettare l’obbligo di contenere la pronuncia entro i limiti della domanda stessa.

4. Il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, possono essere congiuntamente scrutinati e non meritano accoglimento.

4.1. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, nel contratto di mutuo il pagamento delle rate configura un’obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata. Pertanto, il momento da cui decorre la prescrizione deve essere individuato con riferimento alla scadenza dell’ultima rata del mutuo (Cass., sez. 3, 06/02/2004, n. 2301; Cass., sez. 3, 10/09/2010, n. 19291; Cass., sez. 3, 30/08/2011, n. 17798).

Si è, in particolare, spiegato: “la restituzione del capitale mutuato e l’inerente dovere costituiscono l’effetto del contratto e, al contempo, causa di estinzione; ma il dovere di restituzione è differito nel tempo, sicchè il mutuo acquista il carattere di contratto di durata e le diverse rate in cui quel dovere è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione. D’altronde, un mutuo in cui l’obbligazione di restituzione non fosse differita nel tempo e fosse soggetta all’arbitrio del mutuante sarebbe economicamente inconcepibile, perchè inutile per il mutuatario, il quale, essendo autorizzato a consumare la cosa mutuata (art. 1817 c.c.), non sempre (o quasi mai) sarebbe in grado di procurarsi immediatamente l’equivalente da restituire. Ed è proprio in ragione dell’unicità dell’obbligazione di restituzione che l’art. 1819 c.c. prevede, per il caso in cui sia stata convenuta la restituzione rateale ed il mutuatario non adempia l’obbligo del pagamento anche di una sola rata, che il mutuante possa chiedere l’immediata restituzione dell’intero” (Cass., n. 2301/04, cit.).

4.2. L’obbligazione di restituzione del tantundem eiusdem generis, gravante in capo al mutuatario, può avvenire in una unica soluzione oppure ratealmente; in tale secondo caso, dal pagamento rateale, che deve essere oggetto di apposita convenzione tra le parti, come si ricava dall’art. 1819 c.c., non può desumersi la presenza di prestazioni periodiche, dovute per un’unica causa continuativa, per cui le singole scadenze segnano il termine di adempimento delle singole obbligazioni autonome ed indipendenti le une dalle altre come avviene nel caso della retribuzione e di altri emolumenti derivanti dall’unica causa solutoria costituita dal rapporto di lavoro (Cass., sez. L, 01/02/1988, n. 862; Cass., sez. L, 11/01/1988, n. 108) – bensì dell’unico debito derivante dal mutuo, in cui la rateizzazione in più versamenti periodici di un determinato importo non può che far considerare, indipendentemente dalla durata del rapporto, queste prestazioni come l’adempimento parziale di un’unica obbligazione restitutoria.

Il frazionamento del debito non muta, dunque, la natura unitaria del contratto di mutuo, cosicchè non sono individuabili tante prescrizioni per quante sono le rate del mutuo, ma un unico termine di prescrizione decennale, che non decorre dalla scadenza delle singole rate, ma piuttosto dalla scadenza dell’ultima rata.

Inoltre, l’unicità del debito contratto non determina il frazionamento di esso neanche con riferimento agli interessi previsti nel piano di ammortamento che del finanziamento costituiscono il corrispettivo, o agli interessi moratori, fondati sul presupposto dell’inadempimento, cosicchè non opera la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c. (Cass., sez. 3, 14/07/1994, n. 1110; Cass., sez. 2, 30/08/2002, n. 12707; Cass., sez. 3, 08/08/2013, n. 18915).

Infatti, il criterio informatore di tale ultima disposizione normativa è quello di liberare il debitore dalle prestazioni scadute, quando esse siano periodiche, ossia debbano essere soddisfatte periodicamente ad anno, od in termini più brevi, e, pertanto, dalla previsione di tale norma esula l’ipotesi di debito unico, rateizzato in più versamenti periodici. Di conseguenza, quando nei versamenti rateizzati sono inclusi gli interessi sulla somma dovuta, anche il debito di interessi si sottrae all’applicazione della prescrizione quinquennale, giacchè identica è la causa debendi sia della prestazione principale che di quella degli interessi (Cass., sez. 1, 15/07/1965, n. 1546).

4.3. Non discostandosi da siffatti principi la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile al contratto di mutuo di cui si discute il termine prescrizionale decennale, “con decorrenza dalla scadenza dell’ultima rata prevista dal piano di ammortamento, cioè dal (Omissis)” e non operante, con riguardo agli interessi, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.p.c., il che impone di escludere i vizi di violazione di legge denunciati.

Con il primo motivo la parte ricorrente, con un diverso profilo di censura, sostiene pure che, anche ammettendo il decorso della prescrizione dalla scadenza dell’ammortamento, ossia dalla data in cui il mutuo doveva essere estinto, cioè dal (Omissis), comunque il termine decennale non sarebbe stato interrotto per i ratei del 1981 e del 1982, perchè il primo atto valido di sollecito sarebbe stato per essi quello del (Omissis).

Anche sotto tale profilo va esclusa la fondatezza della doglianza.

La sentenza impugnata ha fatto riferimento all’efficacia interruttiva delle note del (Omissis), del (Omissis) e quindi del (Omissis). A fronte di tale ricostruzione la censura non contiene alcuna attività illustrativa volta ad evidenziare che le due note del 2006 (alla quale fa, peraltro, riferimento nel settimo rigo della pag. 17, ma a proposito delle rate del 1983) non si riferivano alle rate del 1981-1983. In particolare, la generica deduzione del contenuto della c.t.u. riprodotto a pag. 16, ultime cinque righe, là dove si dice – da parte del c.t.u. – che il pagamento venne sollecitato per la prima volta solo da quello che viene definito “accertamento di morosità dell'(Omissis)” e che “in tutte le precedenti missive, infatti, le rate scadenti negli anni 1981 e 1982 non risultano nell’elenco delle rate non versate”, non risulta chiara ed adeguatamente esplicitata, poichè non è dato sapere se tali precedenti missive debbano comprendere quelle che la sentenza impugnata definisce “note” del 20 ottobre 2006 e del 9 gennaio 2009.

La censura, per come esposta, risulta, dunque, inidonea per mancanza di chiarezza a criticare validamente la sentenza impugnata.

Inoltre, ove pure le dette note si identificassero con quelle missive, la censura stessa denuncerebbe un profilo revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c., giacchè evidenzierebbe che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato un fatto – il riferimento delle note ai ratei del 1981 e 1982 – non esistente nei due documenti.

4.4. Ne segue che il diritto azionato non può ritenersi prescritto, risultando acclarato, dai giudici di merito, che l’Inpdap ha più volte sollecitato il pagamento delle rate scadute e degli interessi dovuti, in tal modo interrompendo il termine di prescrizione e dovendosi ritenere inammissibili, perchè volte a riproporre questioni di fatto, riservate al giudice di merito e come tali non censurabili in questa sede, le deduzioni difensive con le quali il Comune ricorrente contrappone a tale accertamento che le “diffide di pagamento” sarebbero, invece, intervenute dopo la scadenza del termine di prescrizione decennale e che la nota ministeriale del 19 ottobre 1992 non avrebbe l’efficacia di atto interruttivo.

Non rinvenendosi, sulle questioni sollevate, pronunce di senso contrario nella giurisprudenza di legittimità, neppure si ravvisano i presupposti per la rimessione delle stesse alle Sezioni Unite di questa Corte.

5. Anche il terzo motivo deve essere rigettato.

La Corte d’appello ha ben evidenziato in motivazione che l’Ente previdenziale ha dapprima quantificato, con nota n. (Omissis), il dovuto alla data di scadenza dell’ultima rata del mutuo ed ha poi spiegato domanda riconvenzionale, in primo grado, chiedendo proprio l’importo in precedenza calcolato, reiterando la medesima domanda in grado di appello.

Con la doglianza in esame il Comune ricorrente non si confronta con la ratio decidendi della pronuncia perchè sostiene, in palese contrasto con quanto rilevato dai giudici di appello, per un verso, che l’Inpdap non avrebbe chiarito a quale titolo fosse dovuto l’importo di cui chiede il pagamento e, per un altro verso, che prima della introduzione del giudizio di primo grado, l’Istituto aveva, con distinte note, più volte rettificato l’importo dovuto, sino ad addivenire, con l’avviso n. (Omissis), a ridurre il credito alla somma di Euro 42.450,98, di cui soltanto Euro 19.399,31 a titolo di interessi.

Laddove si evocano circostanze di fatto e si richiamano, a supporto della censura, documenti prodotti in giudizio, la censura non risulta rispettosa del principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., che esige che il ricorrente riporti, quanto meno nelle parti rilevanti, il contenuto dei documenti su cui poggia il motivo di impugnazione e, comunque, di indicare in quale fase del processo gli stessi sono stati prodotti, specificando altresì se sono stati depositati unitamente al ricorso nel giudizio di legittimità; ciò al fine di porre questa Corte nella condizione di valutare la doglianza prospettata sulla base del solo ricorso e senza fare riferimento ad atti ad esso esterni.

In ogni caso, anche a voler prescindere dai superiori rilievi, la censura è comunque infondata, considerato che l’oggetto della domanda riconvenzionale, come accertato dai giudici di secondo grado, è stato esattamente precisato dall’Inpdap già nella comparsa di risposta depositata in primo grado, con la quale è stata avanzata, in via riconvenzionale, domanda di condanna del Comune al pagamento della somma di Euro 42.450,98, poi reiterata con l’atto di appello. Non risultando l’oggetto della domanda riconvenzionale “omesso” o “assolutamente incerto”, ipotesi dalle quali il comma 2 dell’art. 167 c.p.c. fa discendere la nullità della medesima domanda e l’obbligo per il giudice di fissare un termine perentorio per la sua integrazione, non è ravvisabile nè la violazione del richiamato art. 167 c.p.c., nè il vizio di extrapetizione, avendo il giudice del merito pronunciato entro i confini della domanda avanzata.

Invero, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass., sez. 1, 11 aprile 2018, n. 9002; Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048), ipotesi non riscontrabili nel caso di specie.

6. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del presente giudizio di legittimità, in difetto di attività difensiva dell’Inps.

  • P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

  • Gli Argomenti trattati

- MUTUO - ESTINZIONE - RESTITUZIONE DELLA COSA - IN GENERE Diritto al pagamento della somma mutuata - Prescrizione - Decorrenza - Scadenza dell'ultima rata - Fondamento - Interessi - Prescrizione breve quinquennale - Applicabilità - Esclusione..

  • I riferimenti normativi

- Cod. Civ. art. 1813, Cod. Civ. art. 1816, Cod. Civ. art. 2934, Cod. Civ. art. 2948 lett. 4, Cod. Civ. art. 2935 CORTE COST..

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