• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

Il legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica, di cui al comma 3 dell’art. 9 del D.L. n. 244 del 2016, ha sospeso l’efficacia delle fattispecie introdotte con l’art. 29, comma 1-quater D.L. n. 207 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009, posticipandola al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017). Le fattispecie introdotte con il predetto art. 29, comma 1-quater non abrogano, infatti, le previgenti ipotesi di cui agli artt. 3 e 11 legge quadro n. 21 del 1992, che vengono pertanto solo integrate dalla successiva previsione.

(Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 20/06/2023, n. 17541).

  • La vicenda processuale

In data 17.05.2016 il Comune di (Omissis) contestava ad A.A., nella qualità di titolare di autorizzazione per l’esercizio del servizio di autonoleggio con conducente, la violazione dell’art. 85, comma 4, del C.d.S. in quanto “acquisiva un servizio di trasporto senza effettuare il preventivo contratto con il cliente e trasporto effettuato senza partire dalla rimessa per detto servizio – rimessa sita nel Comune di (Omissis) – Importo tramite (Omissis)”.

Il A.A. proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione, con ricorso proposto dinanzi al Giudice di pace di (Omissis), chiedendo l’annullamento del verbale e delle sanzioni comminategli. Deduceva la genericità della contestazione formulata. Sosteneva, inoltre, che il trasporto era stato regolarmente richiesto e concordato mediante l’applicazione Uber Black, di modo che l’incontro delle volontà era avvenuto tramite la piattaforma web; che non vi era mai stato uno stazionamento dell’auto nelle piazzole riservate ai taxi; che l’efficacia delle disposizioni di cui al D.L. n. 207/2008, modificative della L. n. 21/1992 (relative all’obbligo di partenza e rientro delle corse necessariamente presso la rimessa), ritenute da più autorità illogiche, era stata sospesa da più decreti legge succedutisi nel tempo (artt. 3, 11 e 13 L. n. 21 del 1992).

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune di (Omissis), che chiedeva il rigetto dell’opposizione del A.A., il giudice adito, con sentenza n. 12279 del 2016, accoglieva il ricorso annullando il verbale impugnato, sul presupposto che, con l’emanazione del D.L. n. 5 del 2009 (art. 7 bis), l’efficacia degli artt. 3 e 11 L. n. 21 del 1992, nella nuova formulazione, era stata sospesa.

In virtù di impugnazione interposta dal Comune di (Omissis), il Tribunale di (Omissis), nella resistenza del A.A., con sentenza n. 3291 del 2018, accoglieva il gravame e, in riforma della sentenza di prime cure, rigettava il ricorso originariamente presentato dal A.A., condannandolo al pagamento delle spese del giudizio.

A sostegno della decisione il Tribunale esponeva che gli artt. 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, come modificati dall’art. 29, comma 1 quater, del D.L. n. 207/2008, convertito con la L. n. 14/2009, erano applicabili nella fattispecie, in quanto la sospensione dell’efficacia delle suddette norme – disposta dall’art. 7 bis del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, inserito dalla legge di conversione 9 aprile 2009, n. 33 – era stata prorogata solo fino al 31.03.2010; di converso, sulla durata di tale sospensione non spiegava alcun effetto il termine, e le relative proroghe, fissato per l’adozione di disposizioni attuative del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dall’art. 2, comma 3, del D.L. n. 40/2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 73/2010.

Avverso la sentenza del Tribunale di (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione A.A., sulla base di tre motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di (Omissis).

Fissata la trattazione della causa all’adunanza camerale del 04.03.2021, venivano acquisite le conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso dell’accoglimento del ricorso, ritualmente comunicate alle parti, e veniva depositata memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. dal solo ricorrente.

All’esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione rimetteva la causa alla pubblica udienza per la rilevanza nomofilattica della questione.

Per la decisione sul ricorso, fissata la trattazione in udienza pubblica per il giorno 25.11.2021, è stato applicato lo speciale rito “cartolare” previsto dall’art. 23, comma 8 bis, del D.L. 137 del 28-10-2020, convertito con modificazioni dalla L. 1812-2020 n. 176 e prorogato a tutto il 2022 dal D.L. 30-12-2021 n. 228, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15, non avendo alcuna delle parti depositato istanza per la trattazione orale della causa. Sono state acquisite nuove conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso della declaratoria di inammissibilità, in subordine, per il rigetto del ricorso.

In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti curavano il deposito di memorie ex art. 378 c.p.c. All’esito della camera di consiglio, la Seconda Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 6781 del 2022, rimetteva gli atti al Primo Presidente, per la risoluzione di una questione di massima di particolare importanza, sia per la mancanza di precedenti univoci o pienamente convincenti, sia per la sentita esigenza nomofilattica caratterizzante l’interpretazione di norme disciplinanti la questione di diritto circa la vigenza o la sospensione alla data di maggio 2016 – epoca dei fatti contestati al ricorrente – delle modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli artt. 3 e 11 di tale legge) dall’art. 29, comma 1 quater, del D.L. n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009), la cui soluzione reputava rilevante per la decisione del ricorso.

Il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite e seguiva la fissazione dell’odierna udienza, in vista della quale venivano depositate conclusioni scritte del pubblico ministero nel senso dell’accoglimento del ricorso.

  • I Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 85, comma 4, C.d.S., dell’art. 3 Cost. per manifesta illogicità e travisamento, nonchè del principio di legalità di cui all’art. 1 L. n. 689 del 1981, ritenendo la sostanziale irriferibilità della normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 alle nuove e non disciplinate modalità offerte dalle applicazioni informatiche. Ad avviso del ricorrente la normativa di cui alla L. n. 21 del 1992 – legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea – emanata in un’epoca in cui vi era il telefono cellulare ma con caratteristiche ben diverse rispetto agli attuali smartphone, sarebbe divenuta oggettivamente inapplicabile, facendo riferimento ad una realtà del tutto superata, come emergerebbe anche da recente segnalazione, AS1354 del 10.03.2017, al Parlamento e al Governo da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che ha riconosciuto la stessa oggettiva diversità dei servizi resi tramite piattaforma web e la conseguente irriferibilità delle previsioni normative di cui alla legge quadro. Al riguardo richiama anche il parere n. 3586 del 23.12.2015 reso dal Consiglio di Stato, Sez. Prima, su richiesta del Ministero dell’interno, proprio in siffatta materia, cui ha fatto seguito la successiva nota del Ministero dell’interno dell’11.03.2016, relativamente all’inapplicabilità dell’art. 85 C.d.S. ai nuovi servizi telematici di trasporto. Di converso la Polizia Municipale di (Omissis) ha inopinatamente ritenuto di emettere la nota del 04.05.2016, che ha espressamente ad oggetto “Disposizioni attuative degli artt. 85 e 86 del Codice della Strada e della L. 21/1992”. Il ricorrente ricorda, inoltre, l’analogia che si era realizzata qualche decennio fa con il servizio di radiotaxi, preso in esame dalla sentenza gravata: sebbene non preso in considerazione dal legislatore, nessuna sanzione viene comminata ai sensi dell’art. 86 C.d.S. a chi recluta la clientela tramite le centrali di radiotaxi anzichè stazionando sulle aree a ciò specificamente riservate.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dei principi generali di cui agli artt. 3 e 41 Cost. per avere i provvedimenti ed i comportamenti adottati dal Comune di (Omissis) nella presente vicenda determinato una limitazione della libera attività economica privata non giustificata da alcun motivo di “utilità sociale”, conformemente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 174 del 2014.

Nel senso della dubbia costituzionalità delle norme contenute nella L. n. 21 del 1992 si è già espresso il TAR Lombardia con il decreto n. 1105 del 2013.

Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 3 e 11 L. n. 21 del 1992 per intervenuta sospensione legislativa dell’efficacia del disposto di cui all’art. 29, comma 1 quater D.L. n. 207 del 2008. Ad avviso del ricorrente, le disposizioni invocate dal Comune di (Omissis) non riguarderebbero la presente vicenda, altrimenti si incorrerebbe nella violazione dei principi costituzionali di legalità, uguaglianza, ragionevolezza e libertà economica.

Lo stesso legislatore ha immediatamente sospeso l’efficacia della novella in oggetto, in particolare l’art. 7 bis L. n. 33 del 2009, specificamente reiterato dai dd.ll. nn. 78 e 194 del 2009, in quanto l’art. 1, comma 1136, L. n. 205 del 2017 espressamente afferma che “conseguentemente, la sospensione dell’efficacia disposta dall’art. 7 bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2018”, dissipando ogni residuo dubbio circa la perdurante sospensione – ab origine e senza soluzione di continuità – dell’efficacia delle disposizioni introdotte con il D.L. n. 207 del 2008. Nei medesimi termini si era in precedenza già espresso anche il D.L. n. 244 del 2016 c.d. Milleproroghe.

Ritiene il ricorrente che volga nello stesso senso la nota prot. n. 6446 del 31.03.2016 che ha ribadito come “in relazione alla questione se sia da ritenersi sospesa l’efficacia dell’art. 29 comma 1 quater (…) milita a favore di tale interpretazione il dato testuale del D.L. n. 40/2003 (art. 2, comma 3), in ragione del quale il Legislatore ha inteso subordinare l’attuazione della novella legislativa al decreto interministeriale de quo. Se ne desume che, almeno finchè legittimamente (e cioè fino allo scadere del 31.12.2016) il Decreto non sarà emanato, dovrebbe essere inibita l’efficacia dell’art. 29, comma 1 quater…”.

Rileva preliminarmente il Collegio che le tre censure vanno esaminate e trattate unitariamente, in quanto tutte volte alla pregiudiziale affermazione dell’applicabilità (o meno) alla fattispecie del noleggio di autovetture con conducente, di cui all’art. 7-bis, comma 1, del D.L. n. 5 del 2009, conv in L. n. 33 del 2009, della sospensione dell’efficacia delle modifiche previste agli artt. 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotte dall’art. 29, comma 1 quater del D.L. n. 207 del 2008 e dell’art. 9, comma 3 D.L. n. 244 del 2016, conv. in L. n. 19 del 2017.

Esse sono meritevoli di accoglimento nell’ambito dei confini che di seguito verranno illustrati.

L’ordinanza interlocutoria della Seconda Sezione, 1 marzo 2022 n. 6781, individua la questione di diritto alla stessa sottoposta nei seguenti termini: se, all’epoca dei fatti contestati al ricorrente (maggio 2016), le modifiche recate al testo della L. n. 21 del 1992 (e, per quanto specificamente interessa la vicenda in esame, agli artt. 3 e 11 di tale legge) dall’art. 29, comma 1 quater, del D.L. n. 207 del 2008 (inserito dalla legge di conversione n. 14 del 2009) dovessero ritenersi vigenti o sospese.

In particolare, osserva il Collegio remittente che, secondo il ricorrente, l’art. 9, comma 3, del D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito in L. 27 febbraio 2017, n. 19, là dove prevede (nel secondo periodo) che “la sospensione dell’efficacia disposta dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017”, estenderebbe retroattivamente la sospensione di efficacia dell’art. 29, comma 1 quater del D.L. 30 dicembre 2007 n. 207 dalla data del 31 marzo 2010, fino alla quale essa era già stata prorogata, alla data del 31 dicembre 2017, così creando un continuum di sospensione di efficacia dal 2009 al 2017.

Così individuata la questione oggetto di scrutinio, l’ordinanza interlocutoria ritiene sia meritevole di un supplemento di riflessione l’approdo ermeneutico al quale è giunta la Corte con le sentenze n. 12679 del 2017 e n. 28077 del 2021.

Con tali pronunce si è affermato che la sospensione dell’efficacia delle modifiche alla disciplina di cui agli artt. 3 e 11 della L. n. 21 del 1992, introdotta dall’art. 29 del D.L. n. 207 del 2008, era cessata al 31 marzo 2010, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 3, del D.L. n. 194 del 2009, conv. in l. n. 25 del 2010, ponendosi tale norma come l’ultima (la precedente era l’art. 23, comma 2 D.L. n. 78 del 2009, conv. in L. n. 102 del 2009) che aveva prorogato l’iniziale sospensione prevista dall’art. 7-bis del D.L. n. 5 del 2009 introdotto dalla legge di conversione n. 33 del 2009.

Secondo detto indirizzo, rispetto a tale cessazione, a nulla valeva l’individuazione del termine del 31 dicembre 2016 contenuto nell’art. 2, comma 3 del D.L. n. 40 del 2010, in quanto riferito all’adozione di un decreto ministeriale volto a impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, pratiche non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia, senza alcuna rinnovata sospensione della efficacia delle disposizioni di cui al D.L. n. 207 del 2008. Non poteva, infatti, ritenersi che il mero rinvio ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ancorchè previa intesa con la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, contenuto nell’art. 2 cit. potesse avere l’effetto di impedire l’efficacia di una disciplina inserita nella legge-quadro per il trasporto dotata, peraltro, di indubbia idoneità prescrittiva.

La successiva pronuncia del 2021, riportando l’iter argomentativo della precedente del 2017, ha affermato che l’art. 9, comma 3, del D.L. n. 244 del 2016, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 19 del 2017, nella parte in cui prevede che “Conseguentemente, la sospensione dell’efficacia disposta dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017”, ha inteso disporre una nuova sospensione delle disposizioni introdotte dall’art. 29, comma 1- quater, a far tempo dal 1 marzo 2017, data di entrata in vigore delle modifiche apportate con la legge di conversione, sino al 31 dicembre 2017, senza che a tale ius superveniens potesse attribuirsi il contenuto e la valenza di una legge retroattiva o di interpretazione autentica.

L’ordinanza di rimessione pone in luce come l’interpretazione della seconda parte del comma 3 dell’art. 9 del D.L. n. 244 del 2016 si presti ai seguenti dubbi.

In primo luogo essa non appare perfettamente coerente con il dato letterale della disposizione, là dove essa recita “la sospensione… si intende prorogata”. Il senso letterale della parola “prorogata”, infatti, sembra alludere alla “protrazione” di una sospensione ancora in essere, non alla “riattivazione” di una sospensione cessata anni prima.

In secondo luogo, l’ordinanza riporta un passaggio della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2020 la quale, pur senza affrontare il tema oggetto del presente scrutinio (essendo stata sottoposta al suo esame la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del D.L. n. 135 del 2018), sembra, tuttavia, offrire una ricostruzione della disciplina in esame non del tutto coincidente con quella di cui ai citati precedenti di questa Corte. In particolare, l’iter argomentativo seguito dalla Consulta sulla questione alla stessa sottoposta si conclude al paragrafo 3.1 del Considerato in diritto con l’affermazione che “Per meglio comprendere l’assetto normativo vigente, va precisato che l’art. 10-bis ha a sua volta abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell’art. 2 del D.L. n. 40 del 2010 (al comma 5), che l’art. 7-bis del D.L. n. 5 del 2009 (al comma 7), che avevano sospeso l’efficacia della più stringente disciplina dettata dall’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2008. Di conseguenza, dalla indicata data del 10 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall’art. 10-bis del D.L. n. 135 del 2018, mentre è venuta meno la previsione di “urgenti disposizioni attuative” dirette a contrastare il fenomeno dell’abusivismo, da adottare con decreto ministeriale”. Tale dictum, a parere del Collegio che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, lascia “il dubbio che, nella ricostruzione normativa operata dalla Corte costituzionale, le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2008 non siano mai entrate in vigore prima del 10 gennaio 2019, quando esse entrarono in vigore con le modifiche recate dall’art. 10-bis del D.L. n. 135 del 2018”.

La Sezione remittente ricorda che anche la giurisprudenza di merito, proprio alla luce delle considerazioni fin qui esposte e delle incertezze presenti (per l’interpretazione patrocinata dal ricorrente si veda Trib. Roma 26.05.2017), propende a favore della tesi che per l’intero periodo dal 1 marzo 2010 al 31 dicembre 2017 la materia disciplinata, prima, dal testo originario della L. n. 21/1992 e, poi, dal testo di tale legge come modificato dal D.L. n. 207/2008 deve intendersi come totalmente deregolata. Il giudice di merito ha, in primo luogo, rilevato come l’art. 29, comma 1-quater D.L. n. 207 del 2008, prevedendo la sostituzione integrale di commi e articoli di legge preesistenti, implichi il duplice effetto dell’abrogazione di tali disposizioni e, al tempo stesso, dell’introduzione nell’ordinamento giuridico di nuove disposizioni, inserite in luogo di quelle soppresse e nella medesima sede originariamente destinata a queste ultime; in secondo luogo, si è poi sottolineato come la sostituzione comporti l’eliminazione della sequenza testuale da un testo normativo e l’inserimento di una nuova sequenza al posto di quella, con conseguente unificazione dei momenti dell’abrogazione e dell’inserimento. Sulla scorta dei tali premesse, il Tribunale capitolino ha quindi richiamato Corte Cost. n. 13/2012 (“il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate”) e Cass., Sez. Un., n. 25551/2007 (“a questo proposito va in generale affermato che, nel regime di successione delle leggi, mentre l’abrogazione della disposizione che modifica o sostituisce quella precedente non comporta la sua reviviscenza, tale effetto può invece predicarsi in caso di abrogazione di una disposizione che abbia come contenuto quello di abrogare una disposizione precedente sicchè ciò che viene meno è proprio l’effetto abrogativo”); per concludere che, nel periodo di sospensione dell’efficacia delle disposizioni recate dal D.L. n. 207/2008, non ricorreva alcuna reviviscenza delle disposizioni contenute nel testo previgente della L. n. 21 del 1992.

Questo è, dunque, il perimetro oggettivo della remissione.

Per una riconsiderazione complessiva del tema da parte di queste Sezioni Unite e per una più chiara comprensione della questione rimessa è necessario premettere un sintetico quadro delle disposizioni di legge rilevanti.

L’intervento del legislatore nazionale sulla disciplina amministrativa del noleggio con conducente trova la propria fonte nella L. n. 21 del 1992 (Legge quadro per il trasposto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea). In particolare, per quanto specificatamente interessa la vicenda in esame, l’art. 3 (Servizio di noleggio con conducente) nella sua originaria formulazione prevedeva che “1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all’interno delle rimesse o presso i pontili di attracco”, mentre il successivo art. 11 (Obblighi dei titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente) disponeva che “1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell’art. 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, esercìto a mezzo di autovetture, è vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercìto il servizio di taxi. E’ tuttavia consentito l’uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non è esercìto il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorità competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purchè la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove esercìto, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri”.

Per effetto dell’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2008 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti), convertito, con modificazioni, nella L. n. 14 del 2009) l’art. 3 cit. è stato modificato nel seguente testo “1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. 2. Lo stazionamento dei mezzi deve avvenire all’interno delle rimesse o presso i pontili di attraccomma 3. La sede del vettore e la rimessa devono essere situate, esclusivamente, nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione” e l’art. 11 cit. nel seguente testo “1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell’art. 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, esercìto a mezzo di autovetture, è vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercìto il servizio di taxi. In detti comuni i veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente possono sostare, a disposizione dell’utenza, esclusivamente all’interno della rimessa. I comuni in cui non è esercìto il servizio taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. Ai veicoli adibiti a servizio di noleggio con conducente è consentito l’uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e gli altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa. L’inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire alla rimessa, situata nel comune che ha rilasciato l’autorizzazione, con ritorno alla stessa, mentre il prelevamento e l’arrivo a destinazione dell’utente possono avvenire anche nel territorio di altri comuni. Nel servizio di noleggio con conducente è previsto l’obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un “foglio di servizio” completo dei seguenti dati: a) fogli vidimati e con progressione numerica; b) timbro dell’azienda e/o società titolare della licenza. La compilazione dovrà essere singola per ogni prestazione e prevedere l’indicazione di: 1) targa veicolo; 2) nome del conducente; 3) data, luogo e km. di partenza e arrivo; 4) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; 5) dati del committente. Tale documentazione dovrà essere tenuta a bordo del veicolo per un periodo di due settimane. 5. I comuni in cui non è esercìto il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorità competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purchè la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove esercìto, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri”.

La normativa introdotta dall’art. 29, comma 1-quater D.L. n. 207 del 2008 (comma aggiunto dalla legge di conversione del 27 febbraio 2019 n. 14) ha ridisegnato la disciplina del servizio di noleggio con conducente (NCC) prevista dalla L. n. 21 del 1992 rendendo più stringenti i vincoli territoriali, aumentando anche i controlli sul loro rispetto e le sanzioni in caso di violazione. In particolare, sono stati introdotti a carico dei prestatori dei servizi di NCC: l’obbligo di avere la sede e la rimessa esclusivamente nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione; l’obbligo di iniziare ogni singolo servizio dalla rimessa e di ritornarvi al termine del servizio; l’obbligo di compilare e tenere il “foglio di servizio”; l’obbligo di sostare, a disposizione dell’utenza, esclusivamente all’interno della rimessa. E’ stato inoltre confermato l’obbligo, già previsto dalla L. n. 21 del 1992, di effettuazione presso le rimesse le prenotazioni di trasporto.

Le modifiche apportate dall’art. 29 cit. hanno avuto applicazione per un brevissimo lasso di tempo (dal 1 marzo 2009, data di entrata in vigore della L. n. 14 del 2009, al 14 aprile 2009, data di entrata in vigore dell’art. 7-bis D.L. 10 febbraio 2009 n. 5, inserito dalla legge di conversione del 9 aprile 2009 n. 33).

In particolare, il legislatore ha inizialmente previsto una prima sospensione fino al 30 giugno 2009 (art. 7-bis cit., nel testo originario). Detto termine è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2009 dall’art. 23, comma 2, D.L. 1 luglio 2009 n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 102 del 2009 e, successivamente, al 31 marzo 2010, dall’art. 5, comma 3, D.L. 30 dicembre 2009 n. 194, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 25 del 2010. E’, poi, intervenuto l’art. 2, comma 3, D.L. 25 marzo 2010 n. 40 il quale, sempre nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che “3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneità di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il 31 dicembre 2016, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia. Con il suddetto decreto sono, altresì, definiti gli indirizzi generali per l’attività di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi.” L’art. 2, comma 3 cit. è stato, poi, fatto oggetto di successivo intervento da parte del legislatore ad opera dell’art. 9, comma 3 D.L. n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, con il quale si è disposto che “All’art. 2, comma 3 del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2010, n. 73, le parole: “31 dicembre 2016” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2017”.

La seconda parte del disposto dell’art. 9, comma 3 cit. continua con la precisazione che “Conseguentemente, la sospensione dell’efficacia disposta dall’art. 7-bis, comma 1 del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009 n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017.” Infine, sulla materia è intervenuto l’art. 10-bis D.L. n. 135 del 2018, che in sede di conversione, di cui alla L. n. 12 del 2019, ha riprodotto le disposizioni già contenute nel D.L. n. 143 del 2018 (di due soli articoli su “Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea”), contestualmente abrogandole e che, per quanto qui di interesse, così dispone “1. Alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 3, comma 1, le parole: “presso la rimessa” sono sostituite dalle seguenti: “presso la sede o la rimessa” e sono aggiunte, infine, le seguenti parole: “anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici”; b) all’art. 3, il comma 3 è sostituito dal seguente: “3. La sede operativa del vettore e almeno una rimessa devono essere situate nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione. E’ possibile per il vettore disporre di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione, previa comunicazione ai comuni predetti, salvo diversa intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata entro il 28 febbraio 2019. In deroga a quanto previsto dal presente comma, in ragione delle specificità territoriali e delle carenze infrastrutturali, per le sole regioni Sicilia e Sardegna l’autorizzazione rilasciata in un comune della regione è valida sull’intero territorio regionale, entro il quale devono essere situate la sede operativa e almeno una rimessa”; all’art. 11, il comma 4 è sostituito dal seguente: “4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso la rimessa o la sede, anche mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici. L’inizio ed il termine di ogni singolo servizio di noleggio con conducente devono avvenire presso le rimesse di cui all’art. 3, comma 3, con ritorno alle stesse. Il prelevamento e l’arrivo a destinazione dell’utente possono avvenire anche al di fuori della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione. Nel servizio di noleggio con conducente è previsto l’obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un foglio di servizio in formato elettronico, le cui specifiche sono stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero dell’interno. Il foglio di servizio in formato elettronico deve riportare: a) targa del veicolo; b) nome del conducente; c) data, luogo e chilometri di partenza e arrivo; d) orario di inizio servizio, destinazione e orario di fine servizio; e) dati del fruitore del servizio. Fino all’adozione del decreto di cui al presente comma, il foglio di servizio elettronico è sostituito da una versione cartacea dello stesso, caratterizzata da numerazione progressiva delle singole pagine da compilare, avente i medesimi contenuti previsti per quello in formato elettronico, e da tenere in originale a bordo del veicolo per un periodo non inferiore a quindici giorni, per essere esibito agli organi di controllo, con copia conforme depositata in rimessa”; f) all’art. 11, dopo il comma 4 sono inseriti i seguenti: “4-bis. In deroga a quanto previsto dal comma 4, l’inizio di un nuovo servizio può avvenire senza il rientro in rimessa, quando sul foglio di servizio sono registrate, sin dalla partenza dalla rimessa o dal pontile d’attracco, più prenotazioni di servizio oltre la prima, con partenza o destinazione all’interno della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione. Per quanto riguarda le regioni Sicilia e Sardegna, partenze e destinazioni possono ricadere entro l’intero territorio regionale. 4-ter. Fermo restando quanto previsto dal comma 3, è in ogni caso consentita la fermata su suolo pubblico durante l’attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell’effettiva prestazione del servizio stesso”.

Essendo la questione all’attenzione di queste Sezioni Unite costituita dalla definizione del limite temporale della sospensione dell’efficacia della riforma di settore (giova ribadirlo, se nel senso della sua permanenza nel periodo 1 aprile 2010 – 31 dicembre 2017 ovvero della sua negazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina applicabile al caso di specie), onde poter assolvere al compito di interpretazione di siffatte norme, occorre prendere le mosse dai servizi disciplinati dalla legge quadro n. 21 del 1992, la quale – come sopra esposto – nel prevedere due tipologie di servizio, taxi e noleggio con conducente, con il D.L. 30 dicembre 2008 n. 207, in particolare con l’art. 29, comma 1-quater, ha provveduto a ridisegnare in larga parte la disciplina dello svolgimento dei servizi NCC prevedendo l’introduzione di una serie di vincoli a tale attività; tuttavia l’efficacia di tale disciplina è stata pacificamente ed in termini espliciti sospesa fino al marzo 2010 e, successivamente, dal 1 gennaio 2017 fino al 31 dicembre 2018, per cui permangono dubbi sul periodo compreso tra il 1 aprile 2010 ed il 31 dicembre 2016, non espressamente e dettagliatamente disciplinato.

L’esigenza di adeguare le disposizioni della L. n. 21 del 1992 – in considerazione sia di problematiche relative al rapporto tra i servizi di taxi e di noleggio con conducente (va ricordato che in origine gli obblighi di servizio pubblico discendevano solo per il servizio di taxi, i quali risultano disciplinati dalle leggi regionali, ai cui criteri devono attenersi i comuni nel regolamentarne l’esercizio, enti ai quali sono delegate le funzioni amministrative), sia per l’esigenza di rispondere alle nuove realtà economiche che offrivano servizi non immediatamente riconducibili a quelli previsti dalla regolamentazione nazionale, anche al fine di superare i dubbi riguardanti la loro legittimità – ha caratterizzato le ultime legislature, a ciò stimolate anche dagli interventi delle Autorità indipendenti di settore, quali l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (che ha inviato al Governo ed al Parlamento il 21 maggio 2015 un atto di segnalazione sulla rilevanza economico-regolatoria dell’autotrasporto di persone non di linea) e l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (AGCM), intervenuta più volte proprio sul tema della riforma della disciplina del settore Taxi e NCC (da ultimo, il 10 marzo 2017, ha inviato una segnalazione al Parlamento ed al Governo in cui si sottolinea che il settore dalla mobilità non di linea – taxi e NCC – richiede una riforma complessiva, in quanto è ancora regolato dalla L. n. 21 del 15 gennaio 1992, oramai non più al passo con l’evoluzione del mercato).

Il profilo dell’autonomia privata di regolare a propria discrezione i fenomeni economici (associativi o di scambio) è stato certamente incentivato dalla globalizzazione e da internet. Basti pensare alla creazione della start. up Uber, nota per avere creato nel 2010 l’omonima applicazione per mettere in contatto diretto gli automobilisti ed i passeggeri, offrendo così un servizio di trasporto automobilistico distinto dai tradizionali autoservizi pubblici di linea. L’irrompere sul mercato di questa nuova applicazione ha generato non poche frizioni tra le parti sociali che sono spesso sfociate in contenziosi giurisdizionali. Di qui – alla luce di quanto previsto nel decreto “milleproroghe” 2017 – la scelta del legislatore di posticipare almeno fino al gennaio 2018 l’entrata in vigore dell’art. 29, comma 1-quater L. 30.12.2008 n. 207.

Conseguentemente alla nuova disciplina per il NCC che viene delineata dal D.L. n. 143 del 2018, il comma 5 dell’art. 1 dispone l’abrogazione del comma 3 dell’art. 2 del D.L. n. 40 del 2010 che prevedeva l’adozione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata, di disposizioni per impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia e per definire gli indirizzi generali per l’attività di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi. Il termine per l’emanazione di tale decreto interministeriale è stato differito 12 volte, da ultimo al 31 dicembre 2018 dall’art. art. 1, comma 1136, lettera b), della L. n. 205 del 2017, che – per quanto già esposto – ha anche confermato la sospensione dell’efficacia, per l’anno 2018, delle disposizioni del D.L. n. 207/2008. Analogamente, il comma 7 dispone, a decorrere dal 1 gennaio 2019, l’abrogazione dell’art. 7-bis D.L. n. 5 del 2009, cioè della norma che aveva disposto la sospensione fino al 31 marzo 2010 dell’operatività dell’art. 29, comma 1-quater, del D.L. 30 dicembre 2008 n. 207.

Va, infine, ricordato come l’art. 10-bis D.L. n. 135 del 2018 abbia abrogato, a decorrere dal 10 gennaio 2019, sia il comma 3 dell’art. 2 D.L. n. 40 del 2010, che l’art. 7-bis D.L. n. 5 del 2009, che avevano sospeso l’efficacia della disciplina dettata dall’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2018. Di conseguenza, dal 1 gennaio 2019 hanno acquistato efficacia le disposizioni modificative della L. n. 21 del 1992 introdotte dall’art. 29, comma 1-quater del D.L. n. 207 del 2008, come ulteriormente modificate dall’art. 10-bis del D.L. n. 135 del 2018, mentre è venuta meno la previsione di “urgenti disposizioni attuative” dirette a contrastare il fenomeno dell’abusivismo, da adottare con decreto ministeriale (cfr. testualmente, Corte Cost. 56/2020, par. 3.1.).

Solo per completezza si osserva che la legge annuale per la concorrenza (L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 179-182) conteneva la delega per l’emanazione di un decreto legislativo di riordino del settore taxi e NCC, da esercitare entro il 29 agosto 2018, ma tale delega non è stata mai esercitata.

Così ricostruito l’excursus storico della disciplina normativa, giova poi chiarire – sempre nell’ottica di una migliore interpretazione del testo normativo – che l’art. 9, comma 3, D.L. n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017 che modifica parzialmente l’art. 2, comma 3 D.L. n. 40 del 2010, convertito dalla L. n. 73 del 2010, sostituendo le parole “31 dicembre 2016” con “31 dicembre 2017”, è stato approvato nella Prima Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente del Senato della Repubblica a seguito del recepimento dell’emendamento 9.20, ritirati gli emendamenti 9.16, 9.17, 9.18, 9.22, 9.23 e 9.25, respinti quelli recanti i numeri 9.15, 9.19, 9.21 e 9.24, che meglio rispondevano al quesito esegetico posto dall’ordinanza interlocutoria nel senso che la disposta sospensione opera per tutto il periodo 1 aprile 2010 – 31 dicembre 2017.

Siffatta impostazione tuttavia consente di collegare la disposizione citata all’art. 2, comma 3 D.L. n. 40 del 2010 (il quale stabiliva che: “3. Ai fini della rideterminazione dei principi fondamentali della disciplina di cui alla L. 15 gennaio 1992, n. 21, secondo quanto previsto dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ed allo scopo di assicurare omogeneità di applicazione di tale disciplina in ambito nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono adottate, entro e non oltre il termine di sessanta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del presente decreto, urgenti disposizioni attuative, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente o, comunque, non rispondenti ai principi ordinamentali che regolano la materia.

Con il suddetto decreto sono, altresì, definiti gli indirizzi generali per l’attività di programmazione e di pianificazione delle regioni, ai fini del rilascio, da parte dei Comuni, dei titoli autorizzativi.”) all’art. 29, comma 1-quater del D.L. n. 207 del 2008, facendone conseguire la sospensione anche dell’efficacia della riforma che ridisegna i principi fondamentali del servizio del noleggio con conducente di cui alla L. n. 21 del 1992, in quanto il nuovo e più rigoroso regime postula la necessità dell’adozione di una disciplina complessiva (statale, regionale e comunale) con l’adozione di decreti ministeriali concertati tra i Ministeri interessati e previa intesa con la Conferenza Unificata di Stato, regioni e di comuni.

In altri termini, la maieutica dell’art. 9, comma 3 D.L. n. 244 del 2016, come modificato dalla legge di conversione n. 19 del 2017, non consente di dare attuazione alla nuova disciplina nella sua globalità senza la messa a regime dell’intero settore. Nè a siffatta interpretazione è di ostacolo il principio secondo cui la norma di interpretazione autentica può essere adottata solo per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa o a forti contrasti giurisprudenziali, con la conseguenza che il legislatore sarebbe abilitato ad intervenire solamente al ricorrere di siffatti eventi, tali da giustificare, di conseguenza, l’esegesi legislativa. Infatti, si rischierebbe di affrontare la tematica dell’interpretazione autentica sulla base di un criterio approssimativo, ossia non considerando la giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative, attraverso la quale, seppur con esiti variabili, i giudici delle leggi sono giunti a riconoscere la legittimità dell’intervento (autenticamente) interpretativo, e quindi, retroattivo del legislatore, non solo in casi di incertezza normativa (v. Corte Cost. n. 15 del 2012 che richiama le sent. nn. 271 e 257 del 2011, n. 209 del 2010, nn. 311 e 24 del 2009, nn. 162 e 74 del 2008; in tal senso vedi anche Corte Cost. nn. 156 del 2014, n. 170 del 2013, n. 264 del 2012, n. 78 del 2012) o di anfibologie giurisprudenziali, ovvero nei casi in cui il legislatore si limiti a selezionare uno dei possibili significati che possono ricavarsi dalla disposizione interpretata (rimanendo entro i possibili confini interpretativi: v. Corte Cost. sentenze n. 227 del 2014, n. 170 del 2008 e n. 234 del 2007), ma anche nell’ipotesi in cui il legislatore intervenga per contrastare un orientamento giurisprudenziale (c.d. diritto vivente) sfavorevole, sempre che l’opzione ermeneutica prescelta rinvenga il proprio fondamento nella cornice della norma interpretata (v. Corte Cost. n. 271/2011 cit.). Così intesa, l’incertezza normativa cui il legislatore cercherebbe di far fronte mediante l’intervento esegetico potrebbe articolarsi nella diversa accezione oggettiva (oggettivo contrasto giurisprudenziale) ovvero soggettiva (indesiderato indirizzo giurisprudenziale). La Corte costituzionale rinviene il fondamento dell’adozione dello strumento legislativo interpretativo nella sussistenza di contrasti giurisprudenziali che diano luogo ad incertezza applicativa della norma ad oggetto ovvero nel consolidamento di uno specifico orientamento giurisprudenziale, la cui caratteristica sarebbe da rintracciarsi nella contrarietà a quanto disposto dal legislatore, costretto, al fine di imporre la propria interpretazione, ad un intervento correttivo.

Si è assistito ad un iniziale orientamento in cui si era tentato di tracciare – seppure a grandi linee – i contorni della norma di interpretazione autentica, ricercandone gli elementi costituzionalmente necessari affinchè la norma potesse considerarsi legittima, per poi passare ad una seconda fase, nella quale il giudice delle leggi si è allontanato dalla questione della specifica natura da riconoscere alle leggi interpretative, quali norme effettivamente interpretative ovvero innovative criptoretroattive (in tal senso v., tra le altre, Corte Cost. n. 234 del 2007), concentrandosi piuttosto sulla ricerca del loro presupposto giustificativo. In linea di principio, dunque, la Corte costituzionale evidenzia la potenzialità retroattiva delle leggi di interpretazione autentica – la cui legittimità è ammessa nell’ordinamento costituzionale nazionale, con l’unico limite dell’art. 25, comma 2 Cost. in materia penale – nella prospettiva, però, di preservazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei cittadini (v. Corte Cost. n. 166 del 2012), da considerarsi come principi di “civiltà giuridica”. Pertanto, l’intervento legislativo interpretativo sembra essere ammissibile allorchè – sebbene destinato ad incidere sulle posizioni giuridiche soggettive dei singoli – sia tale da garantire una compensazione ragionevole allo svantaggio arrecato. Ed è proprio sulla ragionevolezza della norma interpretativa che sembra fondarsi il nucleo del sindacato di legittimità costituzionale cui aspira il giudice delle leggi. Al fine di risultare costituzionalmente legittima, l’esegesi normativa, infatti, dovrebbe essere ragionevolmente giustificata da motivi imperativi di interesse generale (v. Corte Cost. n. 191 del 2014 e n. 170 del 2013), di modo da bilanciare gli effetti retroattivi anche a danno dei diritti acquisiti dai soggetti interessati.

Il giudice è, dunque, chiamato a valutare l’astratta idoneità interpretativa della norma che si pone come tale, attraverso la disamina degli elementi esteriori (rubrica, titolo, autoqualificazione…) ovvero rintracciandone il fine giustificativo (ratio legis…), fino a spingersi ad analizzare il contesto storico in cui la disposizione è stata approvata (volontà storica del legislatore) ovvero giovandosi di altre norme di analogo tenore (interpretazione analogica) o, ancora, rileggere la disposizione alla luce dell’evoluzione del quadro giuridico complessivo (interpretazione evolutiva), di modo che l’intervento interpretativo risulti capace di ricondurre a razionalità e a logicità le norme.

Ed è quanto occorso nella specie, in quanto proprio facendo applicazione di siffatti principi, in particolare quello dell’interpretazione evolutiva, va ravvisata la volontà del legislatore nel senso di estendere la sospensione dell’efficacia della disciplina di riforma – dopo averla disposta espressamente quasi nell’immediatezza dell’entrata in vigore della medesima e fino al 31 marzo 2010 – con la previsione contenuta nel comma 3 dell’art. 9 del D.L. n. 244 del 2016, per cui il termine del suo vigore è stato posticipato al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017) anche quanto alle disposizioni di cui all’art. 29, comma 1-quater, proprio per ricondurre a coerenza il complessivo quadro delle proroghe finalizzato all’adozione e alla creazione di un sistema unitario e complessivo.

Sotto siffatto profilo il ricorso va, pertanto, accolto per avere il Tribunale di (Omissis) fatto applicazione di una norma i cui effetti al momento della commissione dell’illecito amministrativo erano sospesi e quindi inefficaci anche le norme regionali derivate dalla disciplina statale.

Permane, allora, la questione posta dall’ordinanza interlocutoria con il secondo dubbio interpretativo: “Se, durante il periodo di sospensione dell’efficacia delle disposizioni recate dall’art. 29, comma 1-quater, del D.L. n. 207 del 2008 debbano ritenersi reviviscenti le disposizioni dettate dalla L. n. 21/1992 (artt. 3 e 11) nel testo precedente alle modifiche recate dal menzionato art. 29 del D.L. n. 207/2008 o se, al contrario, tali disposizioni non possano ritenersi tornate in vigore durante la sospensione dell’efficacia dell’art. 29, comma 1-quater, D.L. n. 207/2008, in quanto abrogate e non reviviscenti, con conseguente deregolazione della materia dalle stesse disciplinata”.

Come è noto, il fenomeno della reviviscenza indica la condizione di ripresa di vigore della situazione giuridica – ovvero del rapporto – oggetto della vicenda di temporanea e/o permanente stasi, condizione che si verifica per il sopraggiungere di una nuova situazione normativa per la quale le norme abrogatrici vengono a mancare. Per quanto qui di interesse – anche se si è in presenza della diversa fattispecie di sospensione della efficacia della riforma, che comunque da taluni è ritenuta abrogativa della originaria disciplina, cui va assimilata per eadem ratio – si sarebbe in presenza di ipotesi di abrogazione legislativa (nella specie, peraltro, solo temporanea), che si suole ricondurre al brocardo latino lex posterior derogat priori.

L’abrogazione costituisce effetto dell’entrata in vigore di una norma contrastante con un’altra di pari grado, effetto che spetta al giudice interpretare, prendendo in considerazione ai fini della valutazione la norma da applicare alla fattispecie concreta. La questione controversa è quella degli effetti, nel senso se si tratti di un fenomeno istantaneo e irreversibile ovvero se esso sia comunque ravvisabile in ipotesi di contrasto tra due discipline che pur si susseguono nel tempo.

Al riguardo si osserva che alcune relativamente recenti pronunce della Corte costituzionale rese in sede di giudizio di legittimità della legge hanno investito disposizioni abrogatrici e i loro effetti sono stati pacificamente intesi dalla stessa Corte costituzionale e dalla giurisprudenza ordinaria successiva come comportanti il ripristino delle norme illegittimamente abrogate (v. Corte Cost. sent. n. 162 del 2012, sent. nn. 5, 32 e 94 del 2014). In passato un esito di questo tipo era stato considerato in termini altamente critici sia in dottrina sia in giurisprudenza, mentre oggi si tende a riconoscere che il sistema di garanzia di conformità delle leggi alla Costituzione non sarebbe completo se non prevedesse la possibilità di estendere il sindacato della Corte anche sulle norme abrogatrici e non potesse implicare l’annullamento dell’abrogazione, qualora essa fosse ritenuta illegittima.

Ci si deve chiedere se la reviviscenza a seguito di abrogazione della norma abrogatrice sia, al pari dell’abrogazione stessa, un istituto autonomo o se, al contrario, essa costituisca un esito interpretativo che si impone per logiche che sono intrinseche allo stesso istituto dell’abrogazione. Il problema non sembra essere stato finora analizzato in questi termini in modo diffuso. La più attenta dottrina ha sempre affermato che la questione della reviviscenza consiste, in ultima analisi, in un problema di interpretazione di diritto positivo, dimostrando in tal modo di propendere per la ricostruzione del fenomeno in chiave di esito interpretativo e non quale istituto giuridico dotato di propria autonomia. Il verificarsi della reviviscenza nei casi concreti si ritiene che debba essere sempre frutto di un’attività interpretativa, poichè uno dei pochi caratteri comuni a tutte le ipotesi di reviviscenza consiste proprio nell’assenza, da parte del legislatore o eventualmente dell’organo che procede al controllo di validità dell’atto normativo, di una dichiarazione di ripristino in forma espressa e vincolante erga omnes. Si tratta di una condizione inevitabile proprio in ragione della circostanza che il legislatore italiano si è sempre disinteressato di porre una disciplina di qualunque tipo sul fenomeno. Nell’affrontare la questione della reviviscenza, pertanto, si prenderanno le mosse dalla ricostruzione delle questioni comuni a tutte le ipotesi, che riguardano principalmente la definizione dell’abrogazione e la questione delle lacune eventualmente colmabili mediante ripristino di norme abrogate.

La chiave di lettura che viene scelta per affrontare il problema è quella di valutare l’impatto della reviviscenza in relazione alla certezza del diritto e alla sua crisi. La reviviscenza, infatti, tende in concreto ad evitare che nell’ordinamento si formino lacune, privando di una disciplina positiva una materia già oggetto di regolamentazione legislativa.

Come già affermato da questa Suprema Corte, soprattutto in materia di espropri, nel riconoscere la reviviscenza della precedente disciplina, il giudice deve compiere un’attività interpretativa che parte dalla necessaria premessa “a meno che il legislatore non abbia stabilito una nuova disciplina” (v. Cass. n. 5550 del 2009; Cass. n. 28431 del 2008; Cass., Sez. Un., n. 26275 del 2007), che mostra l’attenzione del giudice nell’applicare le norme dell’ordinamento, verificandone la operatività. Tali decisioni confermano l’indirizzo secondo cui la reviviscenza di norme abrogate opera in via di eccezione e non automaticamente, descrivendo una ordinaria attività interpretativa del giudice che individuato un vuoto, mira a colmarlo, e ciò indipendentemente dalle ragioni che hanno causato la lacuna normativa. La Corte di legittimità con siffatte pronunce non solo ha riconosciuto la teoria della reviviscenza, l’ha anche applicata nel caso concreto, facendo l’analisi della stratificazione normativa e individuando quella vigente ed applicabile al caso in esame.

Chiaramente la giurisprudenza richiamata non costituisce una teorizzazione generale della reviviscenza di norme abrogate, tuttavia apre le porte al fenomeno per consentire a siffatto meccanismo di colmare una totale carenza di disciplina normativa venutasi a creare a seguito di vicende diverse che possono colpire l’effetto abrogativo. E poichè nel nostro ordinamento non ci sono disposizioni di rango costituzionale o legislativo che prevedano espressamente quali siano le conseguenze sul piano normativo nelle ipotesi di abrogazione di una norma, le norme sull’ammissibilità e sulle condizioni di reviviscenza devono essere necessariamente desunte per via interpretativa.

Al riguardo soccorrono l’interprete le Disposizioni sulla legge in generale (le c.d. “preleggi”), che all’art. 11 stabiliscono che la legge dispone soltanto “per l’avvenire”, vietando gli effetti retroattivi; salvo l’ambito penale, in cui sussiste un divieto costituzionale di retroattività in peius della legge successiva (art. 25, comma 2, Cost.), in ogni altro settore dell’ordinamento tale disposizione legislativa è derogabile, ma soltanto tramite una previsione espressa di norma legislativa. Si tratta di una tutela minima che la legge non sia retroattiva, salvo espressa previsione. Naturalmente si pongono problemi di diritto intertemporale che possono essere risolti proprio con la reviviscenza.

L’altra disposizione che ci viene in soccorso è l’art. 15, che indica i casi in cui le leggi devono considerarsi abrogate, sì da realizzare lo scopo che il mutamento del diritto si realizzi unicamente con un atto di volontà novativa da parte del legislatore, sul presupposto della configurazione in modo logico dell’abrogazione quale fenomeno obiettivo e automatico. La prassi, tuttavia, pare disegnare una distanza da questa impostazione, dovuta soprattutto alla difficoltà di separare con nettezza il riconoscimento dell’abrogazione dall’attività interpretativa.

Venendo al nostro caso, peraltro frequente nella prassi, e sempre che si voglia fare rientrare nel concetto di abrogazione in senso ampio, ci troviamo di fronte ad una abrogazione per novellazione della disciplina (come definita da avveduta recente dottrina), tramite sostituzione o modifica del testo di una disposizione previgente. In queste ipotesi il legislatore può preferire adeguare un preesistente corpus di norme intervenendo su singole parti, senza predisporre un nuovo atto normativo integralmente sostitutivo dei precedenti, riformando – anche solo in parte – un singolo istituto o più istituti previsti senza emanare un nuovo testo iuris. L’entrata in vigore della disposizione modificatrice ha una duplice conseguenza: da un lato introduce una nuova disciplina, dall’altro nello stesso tempo può abrogare quella precedente.

Una disposizione che innova l’ordinamento mediante la modifica di testi normativi previgenti pone questioni peculiari in relazione alle ipotesi di reviviscenza: il venir meno di una simile disposizione, infatti, potrebbe essere inteso come il venire meno della modifica da essa disposta, ripristinando la disposizione modificata nella sua formulazione anteriore. E del resto l’art. 15 delle preleggi afferma che una delle modalità di abrogazione consiste nella “incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti”.

Nell’abrogazione c.d. tacita il compito di individuare la disciplina abrogata grava di fatto e di diritto sull’interprete: se più disposizioni, poste dal legislatore in tempi diversi, regolano la stessa materia senza che quelle posteriori abbiano espressamente previsto l’abrogazione di quelle anteriori, l’eventuale contrasto fra le stesse dovrà essere risolto riconoscendo l’abrogazione delle norme espresse dalle disposizioni più antiche da parte di quelle desunte dalle più recenti, per cui l’attività interpretativa deve avere ad oggetto entrambe le discipline.

Si deve tenere presente, però, che la vigenza di una norma può cessare anche senza che ne intervenga l’abrogazione da parte di una successiva. E’ il caso di leggi che dispongano autonomamente il tempo per cui resteranno vigenti e che pertanto possiamo definire come leggi temporanee. Un’altra ipotesi è quella in cui sia sopravvenuta, per cause materiali o per volontà anche solo temporanea del legislatore, l’impossibilità di dare esecuzione a una norma o a una serie di norme. Quest’ultima ipotesi appare integrare la fattispecie in esame in ordine alla quale il legislatore del 2008/2009 aveva espresso la volontà di un regime più rigoroso per differenziare il servizio taxi da quello di NCC, ponendo a carico di quest’ultimo maggiori limitazioni sanzionate come illeciti amministrativi più dettagliati, senza però far venire meno la disciplina di settore. Trovandoci di fronte a siffatta tecnica di normazione, poichè il legislatore non ha nel tempo completato l’intento dichiarato con il D.L. n. 207/2008 di predisporre una riforma unitaria per assicurare omogeneità di applicazione della disciplina dei trasporti non di linea in ambito nazionale, differendo per ben dodici volte il termine per l’emanazione del decreto interministeriale (decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa con la Conferenza Unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281), previsto dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, ciò costituisce prova che con il rinvio e la relativa sospensione – onde evitare di incorrere in un vuoto normativo in un settore particolarmente sensibile quale quello del trasporto su territorio nazionale, che proprio con la riforma vuole garantire la composizione di interessi di utilità sociale con quelli della libera attività economica privata, contrastando il fenomeno dell’abusivismo – non abbia voluto abrogare la disciplina previgente, che peraltro non appare abrogata ma al più rafforzata dalla previsione di nuovi illeciti amministrativi che si aggiungono a quelli di cui alla L. n. 21 del 15 gennaio 1992 nella originaria formulazione, oramai considerata non più al passo con l’evoluzione del mercato.

Su questo approccio di ricostruzione del fenomeno si fonda l’effetto ripristinatorio o meglio di permanenza della precedente disciplina, che si basa sull’analisi oggettiva delle vicende della norma abrogatrice in relazione alla norma previgente.

In conclusione, vanno affermati i seguenti principi di diritto: “Il legislatore, con la disposizione di interpretazione autentica, di cui al comma 3 dell’art. 9 del D.L. n. 244 del 2016, ha sospeso l’efficacia delle fattispecie introdotte con l’art. 29, comma 1-quater D.L. n. 2007/2008, inserito dalla legge di conversione n. 14/2009, posticipandola al 31 dicembre 2016 (divenuto successivamente 31 dicembre 2017).

Le fattispecie introdotte con il predetto art. 29, comma 1-quater cit. non abrogano le previgenti ipotesi di cui agli artt. 3 e 11 legge quadro n. 21 del 1992 (art. 3. Servizio di noleggio con conducente 1. Il servizio di noleggio con conducente si rivolge all’utenza specifica che avanza, presso la sede del vettore, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e/o viaggio. Lo stazionamento dei mezzi avviene all’interno delle rimesse o presso i pontili di attracco.

Art. 11. Obblighi dei titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente 1. I veicoli o natanti adibiti al servizio di taxi possono circolare e sostare liberamente secondo quanto stabilito dai regolamenti comunali. 2. Il prelevamento dell’utente ovvero l’inizio del servizio sono effettuati con partenza dal territorio del comune che ha rilasciato la licenza per qualunque destinazione, previo assenso del conducente per le destinazioni oltre il limite comunale o comprensoriale, fatto salvo quanto disposto dal comma 5 dell’art. 4. 3. Nel servizio di noleggio con conducente, esercìto a mezzo di autovetture, è vietata la sosta in posteggio di stazionamento su suolo pubblico nei comuni ove sia esercito il servizio di taxi. E’ tuttavia consentito l’uso delle corsie preferenziali e delle altre facilitazioni alla circolazione previste per i taxi e altri servizi pubblici. 4. Le prenotazioni di trasporto per il servizio di noleggio con conducente sono effettuate presso le rispettive rimesse. 5. I comuni in cui non è esercìto il servizio di taxi possono autorizzare i veicoli immatricolati per il servizio di noleggio con conducente allo stazionamento su aree pubbliche destinate al servizio di taxi. 6. I comuni, ferme restando le attribuzioni delle autorità competenti in materia di circolazione negli ambiti portuali, aeroportuali e ferroviari, ed in accordo con le organizzazioni sindacali di categoria dei comparti del trasporto di persone, possono, nei suddetti ambiti, derogare a quanto previsto dal comma 3, purchè la sosta avvenga in aree diverse da quelle destinate al servizio di taxi e comunque da esse chiaramente distinte, delimitate e individuate come rimessa. 7. Il servizio di taxi, ove esercito, ha comunque la precedenza nei varchi prospicienti il transito dei passeggeri), che vengono pertanto solo integrate dalla successiva previsione e comunque sono da ritenere vigenti al momento della commissione della violazione contestata”.

Alla luce di quanto sopra affermato, la decisione di accoglimento dell’appello si pone, dunque, in contrasto con tali principi, sicchè il ricorso va accolto; ne discende l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio del procedimento al Tribunale di (Omissis), in persona di diverso magistrato, affinchè riesamini la vicenda alla luce dei principi sopra affermati e accerti se la condotta contestata integri o meno l’illecito amministrativo ai sensi e per gli effetti degli artt. 3 e 11 previsti dalla L. n. 21 del 1992 nella versione antecedente alla riforma di cui al D.L. n. 207 del 2008.

Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 385 c.p.c.

  • P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di (Omissis), in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.

  • La fonte

- Redazione

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