• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso. (Affermando tale principio, la S.C. ha dato rilievo causale all’intervento del mediatore che aveva posto in relazione i contraenti e fatto visitare l’immobile agli interessati i quali, dopo alcuni mesi dalla visita ed una volta rifiutata un prima offerta di acquisto, avevano collocato dei bigliettini nelle cassette postali di tutti i condomini così da riaprire le trattative e giungere all’acquisto dell’unità immobiliare, sia pure per un prezzo inferiore a quello inizialmente richiesto).

(Cass. Civ. Sez. 2, n. 11443 del 08/04/2022).

  • La vicenda processuale

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 6.2.2016, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda della M.d.B.R. & C. s.a.s., con cui aveva chiesto la corresponsione della provvigione nei confronti di B.A. e P.P. .
La società attrice espose di aver ricevuto dalla (omissis) l’incarico per la vendita di un appartamento con scadenza in data 1.8.2003 al prezzo di Euro 148.000,00, ma con mantenimento dell’incarico anche in futuro.
Nel (omissis), B.A. e P.P. vennero accompagnati per visionare detto immobile, ritornarono una seconda volta e formularono una proposta di acquisto per la somma di Euro 140.000.000; la proposta viene rifiutata dal proprietario. Dopo pochi mesi, l’immobile viene venduto direttamente dalla (omissis) al prezzo di Euro 106.000,00.
Secondo la Corte di merito, non esisteva un collegamento tra l’attività posta dal mediatore ed il contratto stipulato tra le parti, non essendo sufficiente la mera visita dell’appartamento per il tramite del mediatore in quanto la proposta di acquisto non era stata accettata e l’affare si era concluso per l’iniziativa autonoma della parte acquirente.
Dopo il primo contatto con l’agenzia, B.A. e P.P. avevano cercato un appartamento nello stesso condominio ed avevano lasciato dei bigliettini con il loro nominativo nella cassetta della posta dei condomini; i testi escussi avevano confermato che la proprietaria aveva chiamato l’agenzia di mediazione per sapere se il cliente era lo stesso che aveva visitato l’appartamento con cui erano iniziate le trattative.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la M.d.R.V. sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso B.A. e P.P. .
In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.

  • I Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre all’omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio relative alla determinazione del nesso causale tra l’attività svolta dalla M. e la conclusione dell’affare. In primo luogo, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto della collocazione temporale dei fatti, ovvero della circostanza che l’agenzia aveva fatto visitare l’immobile nel (omissis) e vi erano state delle trattative, nel corso delle quali sarebbe stato reso noto il nome della società venditrice; solo nel (omissis), vi sarebbe stato il contatto con il B., socio della società venditrice, il quale avrebbe assicurato che il contratto di mediazione era scaduto. Inoltre, dalla sentenza citata sarebbero emersi contatti tra la proponente ed il mediatore per accertare se i soggetti interessati all’acquisto fossero i medesimi con cui erano state avviate le trattative, a nulla rilevando che i contatti fossero stati tenuti dall’Avv. B., socio della (omissis) e che vi fossero stati disguidi nella comunicazione del nominativo dei soggetti che avevano già visitato l’appartamento.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte distrettuale errato nel non riconoscere il nesso di causalità nell’attività del mediatore, che avrebbe messo in relazione le parti, indipendentemente dal fatto che il contratto fosse stato concluso ad un diverso prezzo di vendita dell’immobile.

I motivi; che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente sono fondati.

Il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in’ cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo; è sufficiente, infatti, che, la “messa in relazione” delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto. La prestazione del mediatore, pertanto, può ben esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipula del negozio, sempre che la prestazione stessa possa legittimamente ritenersi conseguenza prossima o remota della sua opera, tale, cioè, che, senza di essa, il negozio stesso non sarebbe stato concluso, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 3438 del 2002; conf. Cass. n. 9884 del 2008; Cass. n. 23438 del 2004). Il diritto del mediatore alla provvigione sorge, in definitiva, tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur in assenza di un intervento del mediatore in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo purché il mediatore abbia messo in relazione le stesse, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 869 del 2018; conf. Cass. n. 25851 del 2014).

D’altra parte, ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. n. 11656 del 2018; Cass. n. 25851 del 2014). Il rapporto di mediazione, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula, infatti, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice

che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto: sicché, ove il rapporto di mediazione sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l’acquiescenza dell’altra, quest’ultima resta del pari vincolata verso il mediatore (Cass. n. 21737 del 2010). L’accertamento dell’esistenza del rapporto di causalità tra la conclusione dell’affare e l’attività svolta dal mediatore si configura come una questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito (cfr. Cass. n. 15880 del 2010) e, come tale, sindacabile in sede di legittimità, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo quando la pronuncia impugnata abbia del tutto omesso di esaminare un fatto dedotto in giudizio e decisivo ai fini della soluzione della controversia: come, in effetti, è accaduto nel caso in esame. Nel caso di specie, la corte di merito non si è conformata ai principi di diritto affermati da questa Corte perché non ha ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, nonostante gli acquirenti avessero visionato l’appartamento per il tramite del mediatore nella vigenza del contratto di mediazione ed avessero fatto una proposta di acquisto dell’immobile, rifiutato, dal proprietario.

Del resto, l’acquisto del bene avvenne dopo soli duè mesi dalla visita dell’immobile previo rilascio di bigliettini, da parte degli acquirenti, nelle cassette postali dei condomini, come riferito dai B. , soci della (omissis), proprietaria dell’immobile.

Ne consegue che l’affare trova il suo antecedente causale nell’attività della società mediatrice e che la ripresa delle trattative costituiva una prosecuzione dell’attività svolta, che si era conclusa con la messa in relazione delle parti e con la formulazione di una proposta di acquisto.

Del resto, l’art. 1754 c.c., definisce il mediatore come colui che mette in relazione le parti per la conclusione non già di un contratto ma di un affare, sicché il diritto alla provvigione sorge quando esso si ponga in rapporto causale con l’opera svolta, indipendentemente dal suo intervento in tutte le fasi delle trattative o dalla diversità di prezzo concordata in contratto. A nulla rileva la circostanza che, nell’ambito dell’organizzazione dell’attività di mediazione, la società mediatrice si fosse avvalsa di collaboratori e che vi fossero stati equivoci nell’accertare che i soggetti interessati fossero gli stessi con cui la società venditrice aveva svolto le trattative; ciò che rileva è che il mediatore abbia fornito alla preponente, e per essa ai soci ed ai collaboratori, il suo apporto nella individuazione del soggetto interessato all’acquisto e che con lo stesso il contratto sia stato successivamente concluso.

L’iniziativa dell’inserimento dei bigliettini da parte degli acquirenti nelle buche delle lettere dei condomini non costituisce iniziativa autonoma in quanto portò all’acquisto dello stesso appartamento già visitato per il tramite dell’agenzia, che aveva fornito un’attività rilevante, che si era infatti conclusa con la formulazione della proposta di acquisto, rifiutata dalla società venditrice.

Il diritto del mediatore alla provvigione era quindi in rapporto causale con l’opera dallo stesso svolta, non essendo richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare ma la “messa in relazione” ad opera del mediatore, quale attività costituente l’antecedente indispensabile per pervenire, anche attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione dell’affare medesimo (Cass. 10606/2001; Cass. 6703/2001; Cass. 2136/2000; Cass. 7048/97; Cass. 9350/90; Cass. 5360/88). Il ricorso va, pertanto, accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto:

” In tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità) adeguata. La prestazione del mediatore può esaurirsi ne ritrovamento e nella indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario tale che senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso”.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimità.

  • P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione

  • Gli Argomenti trattati

- Mediazione - Diritto alla provvigione - Rapporto tra attività del mediatore e conclusione dell'affare.

  • I riferimenti normativi

- Cod. Civ. art. 1754, Cod. Civ. art. 1755.

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