• La Massima

La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:

In tema di compravendita, ove venga esperita l’azione di risoluzione ex art. 1497 c.c. per mancanza delle qualità promesse della cosa venuta, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore, perché si tratta di azione tipica rientrante nell’ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali azioni edilizie, riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell’incidenza dei vizi sull’idoneità all’uso cui la cosa è destinata, ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione.

(Cass. civ., Sez. II, Sent., 29/05/2023, n. 14895).

  • La vicenda processuale

Con atto di citazione del 7 marzo 2007 l’odierna ricorrente, A.A., evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, B.B., precedente proprietario del veicolo a motorizzazione ibrida modello Maranello targato (Omissis), e la No Trafic Srl , società mediante la quale la A.A. aveva acquistato il suddetto veicolo proponendo domanda di risoluzione del contratto di compravendita, oltre a chiedere la restituzione del prezzo e il risarcimento dei danni, eccependo il grave inadempimento dei convenuti. In particolare, la A.A. esponeva che in sede di perfezionamento del contratto, avvenuto in data (Omissis) con la consegna del veicolo e il pagamento a mezzo assegni bancari intestati alla società No Trafic Srl , quest’ultima aveva assicurato all’acquirente che il veicolo in questione poteva essere ricaricato presso le stazioni di servizio del Comune di Roma a ciò preposte, consegnando a tal scopo la scheda magnetica e la mappa delle stazioni presenti nel territorio.

Allegava l’attrice, in primo luogo, di aver riscontrato che il veicolo non era compatibile ai fini della connessione con le indicate stazioni di ricarica e, in secondo luogo, che la stessa casa costruttrice Effedi Srl aveva escluso, dopo esser stata contattata tramite e-mail dall’attrice, qual si voglia possibilità di funzionamento attraverso il servizio di ricarica offerto dal Comune di Roma per impossibilità di adattamento. L’attrice, quindi, lamentava l’assoluta inidoneità allo scopo del veicolo acquistato, non utilizzabile come mezzo a motorizzazione ibrida poichè in alcun modo ricaricabile.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza di entrambi i convenuti, B.B. deduceva, in primo luogo, che quanto asserito dall’attrice non costituiva grave inadempimento, del quale, ad ogni modo, egli si riteneva non responsabile e, in secondo luogo, eccepiva la decadenza dalla garanzia; in via subordinata, in caso di accoglimento della domanda di risoluzione, proponeva domanda di risarcimento nei confronti della No Trafic Srl per violazione dei doveri di correttezza e buona fede in esecuzione del mandato alla vendita conferitole dal proprietario. La No Trafic Srl eccepiva preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto mera mandataria del venditore effettivo, il B.B., proprietario del veicolo; nel merito, deduceva l’insussistenza del vizio denunciato dall’attrice, anche alla luce del fatto che questa aveva utilizzato il veicolo percorrendo circa 3.000 km, e asseriva di averle consegnato, oltre alla scheda magnetica e alla mappa delle stazioni di ricarica del Comune di Roma, anche il kit di adattamento alle centraline elettriche.

Il giudice capitolino adito, con sentenza n. 24151/2008 pubblicata il 4 dicembre 2008, accoglieva la domanda di risoluzione del contratto e condannava i convenuti, in solido tra loro, alla restituzione del prezzo e al rimborso delle spese sostenute, ritenendo sussistenti e provati i vizi c.d. redibitori, rigettata la domanda di risarcimento dei danni.

In virtù di appello interposto sia da B.B. (appello principale) sia della No Trafic Srl (appello incidentale), la Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 3646/2017, in via preliminare, accoglieva l’eccezione sollevata dal B.B. rilevando il suo difetto di legittimazione passiva, ritenendo che la domanda originariamente proposta dall’attrice fosse diretta nei soli confronti della società, avvenuta la vendita peraltro ad opera della società mandataria senza spendita del nome del proprietario.

Nel merito, la Corte d’appello in accoglimento del terzo motivo dell’appello principale e del secondo motivo dell’appello incidentale, integralmente riformando la decisione di primo grado, rigettava le domande proposte da A.A., condannandola al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Il Giudice del gravame, in particolare, riteneva non contestata dall’originaria attrice la configurazione dell’azione quale azione di garanzia ex art. 1490 c.c., operata dal primo giudice, attribuendo, di conseguenza, in capo ad essa, in qualità di compratore, l’onere della prova in riferimento sia all’esistenza dei vizi, sia alla tempestività della denuncia, sia al nesso causale tra i vizi e l’eventuale pregiudizio, onere della prova che la Corte d’appello ha ritenuto non assolto.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A., affidandosi a sei motivi.

No Trafic Srl e B.B. sono rimasti intimati.

Fissata adunanza camerale in data 6 maggio 2022, con ordinanza interlocutoria n. 18048/2022, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per essere rimessa alla trattazione in pubblica udienza per la rilevanza, nella specie, della questione relativa alla parte sulla quale gravi l’onere della prova quando, a fondamento dell’azione di risoluzione ex art. 1497 c.c., il compratore alleghi la mancanza delle qualità promesse.

In prossimità dell’udienza – fissata ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, conv. con modificaz. in L. n. 176 del 2020, senza che parte ricorrente nè il P.G. depositassero istanza per la trattazione della causa in pubblica udienza sicchè la stessa è stata riservata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata – sono state acquisite le conclusioni della Procura Generale, motivate nel senso del rigetto del ricorso, ritualmente comunicate all’unica parte presente nel giudizio.

  • I Motivi della decisione

Con il primo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la ricorrente si duole della ricostruzione operata dalla Corte d’appello in ordine alla qualificazione e alla ritenuta non contestazione da parte dell’originaria attrice della domanda giudiziale che, “senz’altro era ed è stata percepita anche dalle controparti come domanda di risoluzione per grave inadempimento ex art. 1453 c.c. e/o come compravendita aiud pro alio con la richiesta di applicazione dei relativi principi sull’onere della prova”. Al riguardo la ricorrente richiama quanto precisato nella propria comparsa di costituzione in appello, reiterandone le argomentazioni, concludendo, dunque, per l’esatta qualificazione della domanda di risoluzione e per la corretta applicazione dei principi relativi all’onere della prova operati dal giudice di primo grado.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente impugna il capo della sentenza con cui è stata accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del B.B., contestando l’interpretazione che la Corte d’appello ha fornito della domanda giudiziale dell’odierna ricorrente che, invece, sarebbe stata rivolta sia nei confronti della No Trafic Srl , in quanto intestataria degli assegni, sia nei confronti di B.B., in quanto proprietario del veicolo, a nulla rilevando la spendita o meno del nome del proprietario, deducendo anche la contraddittorietà della decisione in ordine all’accoglimento dell’appello del B.B., ritenuto non legittimato passivo, e alla condanna alle spese di entrambi i gradi di giudizio nei confronti di entrambi gli originari convenuti.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1490, 1497, 2697 c.c. e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.La ricorrente sostiene in primo luogo che il Tribunale, diversamente da come ricostruito dalla Corte d’appello, avrebbe qualificato, anche sulla base della qualificazione fatta propria dall’attrice fin dall’atto di citazione, la domanda quale azione di risoluzione per grave inadempimento. Alla luce di tale qualificazione, i convenuti non avrebbero mai assolto all’onere della prova su questi incombente circa il proprio adempimento, nè avrebbero, d’altronde, mai contestato l’asserita inidoneità dell’autovettura a connettersi con le postazioni di ricarica predisposte dal Comune di Roma, vizio che risulterebbe incontestabilmente esistente in base alla documentazione prodotta in primo grado.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia il vizio di omessa pronuncia – violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – in relazione sia alla domanda risarcitoria formulata da B.B. nei confronti della No Trafic Srl per violazione dei doveri di correttezza e buona fede in esecuzione del mandato, sia sulla domanda formulata dalla società appellata appellante incidentale di rigetto dell’appello principale.

Con il quinto motivo la ricorrente impugna il capo della sentenza relativo alla condanna alle spese di entrambi i gradi di giudizio per violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, art. 92 c.p.c., comma 2, art. 281-sexies c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare, la ricorrente si duole della condanna delle spese enunciata a suo carico per entrambi i casi di giudizio, pur essendo, la No Trafic Srl , risultata soccombente in primo grado e pur essendo stato rigettato uno dei motivi dell’appello incidentale nonchè l’eccezione da essa sollevata in ordine alla propria legittimazione passiva.

Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente deduce la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 281-sexies c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., comma 6, e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto priva di una idonea concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, con conseguente apparenza della motivazione.

E’ pregiudiziale l’esame del sesto motivo che attiene ai requisiti di contenuto-forma posti dall’art. 132 c.p.c., in relazione al provvedimento impugnato, trattandosi peraltro di pronuncia emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.. Esso è infondato.

In tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non rappresenta un elemento meramente formale, ma un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, per cui la sua mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l’atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), e considerato che lo stesso legislatore ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (Cass. 10 novembre 2010 n. 22845; Cass. 15 novembre 2019 n. 29721). In tal senso anche la L. 18 giugno 2009 n. 69, art. 45, comma 17, a partire dal 4 luglio 2009, sostituendo l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ha eliminato, tra i requisiti di forma-contenuto delle sentenze civili, la concisa esposizione dello “svolgimento del processo”, così limitando il requisito propriamente motivazionale alla esposizione, comunque “concisa”, “delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”, vale a dire, secondo l’esplicazione operata dall’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, alla “succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”. Nell’orbita propria del giudizio i fatti non sono certamente da trascurare ma sono piuttosto da rappresentare esclusivamente nella loro dimensione di ragioni di fatto, vale a dire nella sola consistenza funzionale alle considerazioni in diritto che se ne traggono, in quanto proprio da tale rappresentazione dei fatti derivano le consuete operazioni inerenti alla sussunzione nella fattispecie astratta e, soprattutto, all’individuazione degli effetti che si spiegano nel caso concreto.

Tanto chiarito quanto alla semplificazione dei provvedimenti giurisdizionali, la lettura della sentenza impugnata rende evidente che essa contiene una esaustiva esposizione dello svolgimento del processo che consente di individuare il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello nell’interpretare la vicenda di cui al contratto di vendita intercorso fra le parti per addivenire alla decisione, esponendo dalla pagina 4 alla pagina 6 le circostanze di fatto poste a fondamento della domanda e le difese svolte dai convenuti, oltre all’esito del giudizio di primo grado.

Del pari la motivazione della sentenza impugnata non rientra nelle gravi anomalie argomentative individuate dalle Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 e non concretizza una fattispecie di motivazione apparente, che, come affermato da questa Corte, ricorre quando la motivazione, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016 n. 22232). Invero, la motivazione resa, condivisibile o no, esterna un ragionamento che, partendo da determinate premesse, perviene con un certo procedimento enunciativo e logico a spiegare il risultato raggiunto e consente, altresì, di verificare se i giudici di merito abbiano effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

Il primo ed il terzo motivo – vertendo entrambi sulla qualificazione e relativa disciplina dell’onere della prova da applicare nella specie – vanno trattati unitariamente. Anche essi sono infondati.

La Corte distrettuale ha ritenuto che non avendo l’appellata contestato la configurazione della domanda attorea quale azione di garanzia ai sensi dell’art. 1490 c.c., l’onere della prova in caso di risoluzione per vizi della cosa comprata si atteggia in modo diverso rispetto all’azione di risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 c.c., per cui gravava sull’acquirente. Orbene la questione di quale sia la parte gravata dall’onere della prova in caso di vizi del bene compravenduto ovvero in ipotesi di mancanza di qualità promesse vede due pronunce del Supremo consesso.

Le Sezioni Unite, con la sentenza 30 ottobre 2001 n. 13553, hanno fissato, in generale, la regola secondo cui anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (anche per le difformità qualitative dei beni), gravando sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

La sentenza sempre delle Sezioni Unite 3 maggio 2019 n. 11748, che nella materia della garanzia per i vizi della cosa venduta, hanno affermato che il vizio deve essere provato dal compratore che invoca il rimedio, rappresentando il vizio uno dei fatti costitutivi che consentono di fare valere il diritto di garanzia. Con la conseguenza che per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo ai sensi dell’art. 1492 c.c., è gravato dall’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi. Le Sezioni Unite del 2019 fanno leva anche su altri argomenti a sostegno della soluzione in tema di distribuzione dell’onere della prova. Infatti, l’opzione ermeneutica che pone a carico del compratore l’onere di provare i vizi della cosa venduta soddisfa anche le esigenze di carattere pratico espresse dal principio della vicinanza della prova e si appalesa armonica rispetto alle analoghe elaborazioni della giurisprudenza di legittimità in materia di prova dei vizi della cosa nel contratto di appalto e nel contratto di locazione.

In sintesi, l’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta si distingue dall’azione di adempimento o di esatto adempimento della vendita per i presupposti e per gli effetti: la garanzia si riferisce solo ai vizi che esistevano già prima della conclusione del contratto e la relativa azione abilita normalmente il compratore a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo; laddove ogni vizio posteriore alla conclusione del contratto può dar luogo solo all’esatto adempimento della obbligazione di consegnare e rendere esperibile l’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, la quale prescinde dai termini di decadenza o di prescrizione cui è soggetta l’azione di garanzia (Cass. n. 4382 del 1985; Cass. n. 4980 del 1983; Cass. n. 1438 del 1974; di recente, Cass. n. 33612 del 2022). La prova della preesistenza dei vizi al momento del contratto grava – quindi – sul compratore (Cass. n. 3413 del 1980; Cass. n. 2841 del 1974), in coerenza con il principio per cui l’obbligo di garanzia dà luogo ad una responsabilità speciale interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, che pone il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della “actio quanti minoris” o della “actio redibitoria”, in linea di continuità con la sentenza n. 19702 del 2012 delle stesse Sezioni Unite. Ne consegue che, essendo dette azioni fondate sul solo dato obiettivo dell’esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l’onere della relativa prova grava sul compratore, non trovando applicazione i principi relativi all’inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno e le regole probatorie enunciate da Cass., Sez. Un., n. 13533/2001 (Cass. n. 9960 del 2022; Cass., Sez. Un., 11748/2019 cit.; Cass. n. 18125 del 2013; Cass. n. 13695 del 2007). In altri termini, è stato ritenuto che la consegna di una cosa viziata integri un inadempimento contrattuale, ossia una violazione della lex contractus, ma senza che ciò realizzi un’ipotesi di inadempimento di obbligazioni. Fondamentale è apparsa la valorizzazione dell’effetto traslativo e del funzionamento dei rimedi che la legge ad esse ricollega, che impone un superamento del concetto classico di inadempimento – inteso come inattuazione dell’obbligazione contrattuale – e il riconoscimento della possibilità di configurare vere e proprie anomalie dell’attribuzione traslativa. La consegna della cosa viziata pertanto costituisce non inadempimento di un’obbligazione (di consegna o di individuazione), ma l’imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso, così che la garanzia per vizi non va collocata nella prospettiva obbligatoria e quindi la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita.

Venendo alla fattispecie in esame, si tratta di stabilire quale regola in tema di onere della prova fissata dalle Sezioni Unite valga anche nel caso di mancanza di qualità, fattispecie per la quale l’art. 1497 c.c., prevede la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali, purchè il difetto di qualità ecceda i limiti della tollerabilità stabiliti dagli usi, osservati peraltro i termini di decadenza e di prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.. In particolare, su un piano sistematico va osservato che l’art. 1497 c.c., nel sancire, al comma 2, che il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite proprio dal precedente art. 1495 c.c., non stabilisce che siffatti termini attengano anche all’esercizio della relativa azione. Appare incontestabile che, con riguardo al potere di agire, viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, ovvero la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto, con la conseguenza che, alla tutela di questa pretesa ad essere garantito se insoddisfatta, soccorrono i rimedi sostanziali che non si sostituiscono al diritto primario ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta. In sostanza, nella prospettiva generale della questione in esame, deve sottolinearsi che, in effetti, non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il “diritto alla garanzia” derivante dal contratto, rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della vendita. Il compratore nell’avvalersi della “garanzia” deduce l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (contemplata dall’art. 1476 c.c., n. 3) e, conseguentemente, sul piano generale, deve ritenersi, che pur trattandosi di azione diversa dai vizi redibitori e dalla mancanza di qualità, tuttavia si tratta comunque di un’azione tipizzata in materia di compravendita, venendo sostanzialmente ricondotta nell’ambito del vizio o difetto del bene, che ricorre quando la diversità tra la cosa venduta e quella consegnata incide sulla natura e, quindi, sull’individualità, consistenza e destinazione di quest’ultima sì da potersi ritenere che essa appartenga ad un genere del tutto diverso da quello posto a base della decisione dell’acquirente di effettuare l’acquisto, o che presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziali dalle parti (c.d. inidoneità ad assolvere la funzione economico-sociale), facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto (nei sensi suddetti, si vedano, ex plurimis, Cass. n. 28419 del 2013; Cass. n. 10916 del 2011; Cass. n. 26953 del 2008; Cass. n. 9227 del 2005; Cass. n. 13925 del 2002; Cass. n. 2712 del 1999). Vertendosi in tema di inadempimento del contratto di compravendita, la diversità di composizione e di struttura della cosa consegnata rispetto a quanto pattuito non assurge a precipuo elemento di identificazione del bene, che costituisce il parametro per distinguere la consegna di “aliud pro alio” dall’ipotesi di cui agli artt. 1492, 1497 c.c., sempre che, come nel caso in esame, non risulti del tutto compromessa la destinazione all’uso considerato dalle parti.

Il Collegio osserva che tra le due fattispecie vi è complementarità, in quanto la presenza di alcuni difetti o di talune qualità non implica necessariamente la non conformità della cosa venduta; ben può accadere, infatti, come è accaduto nella vicenda in esame, che le “imperfezioni” della cosa venduta non impediscano alla stessa di essere utilizzata per il proprio scopo. Del resto, l’odierna ricorrente non aveva mai contestato che l’auto acquistata non avesse la natura di veicolo ibrido.

Di qui la conseguenza che anche per questa azione, intesa nel senso di difetto di qualità, vale la regola dell’onere della prova a carico del compratore, proprio perchè si tratta di azione tipica rientrante nell’ambito della garanzia della vendita sul modello delle tradizionali “azioni edilizie”, riguardo alle quali il requisito della gravità è prevalutato dal legislatore e compenetrato nella ricorrenza dei presupposti delineati dell’incidenza dei vizi sull’idoneità all’uso cui la cosa è destinata ovvero sulla diminuzione in modo apprezzabile del suo valore, per cui una diversa disciplina creerebbe una distonia di sistema, oltre a non avere alcuna ragione di differenziazione.

Alla luce di ciò deve allora ammettersi che la Corte distrettuale ha fatto buon governo dei principi sopra illustrati, non risultando, infatti, che l’acquirente abbia allegato e neanche dimostrato uno specifico vizio da cui sarebbe affetta l’autovettura acquistata.

Del pari non può trovare accoglimento la seconda censura relativa alla esclusione della legittimazione passiva di B.B. anche rispetto alla domanda di risoluzione del contratto sul presupposto che la No Trafic aveva venduto il veicolo in contesa quale “società mandataria, senza alcuna spendita del norma del rappresentato”, con la conseguenza che – ai sensi dell’art. 1705 c.c. – i diritti e gli obblighi verso i terzi sono acquistati dal mandatario ed i primi non hanno alcun rapporto con il mandante.

D’altra parte, la stessa ricorrente nell’atto introduttivo aveva prospettato la posizione del B.B. in termini di mandato senza rappresentanza allorchè ha ravvisato la responsabilità della No Trafic nella cessione del veicolo, seppure venduto il veicolo per conto del B.B., per cui non essendo parte del contratto di vendita nessuna domanda di risoluzione del contratto di vendita poteva essere pronunciata nei suoi confronti. Eguali considerazioni valgono quanto alle domande di restituzione delle somme e di risarcimento dei danni proposte esclusivamente nei confronti della No Trafic. Va, inoltre, ritenuta l’inammissibilità del quarto motivo per carenza di interesse dell’acquirente alle statuizioni relative ai rapporti interni tra il B.B. e la No Trafic Srl .

Non può essere dato ingresso neanche al quinto motivo relativo alla liquidazione delle spese di giudizio in favore della No Trafic. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide e a cui va data continuità in questa sede, il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. 12 aprile 2018 n. 9064; Cass. 1 giugno 2016 n. 11423; Cass. 30 agosto 2010 n. 18837).

Alla luce di quanto sopra evidenziato, risulta incontrovertibile che la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio sopra ricordato per avere riformato la decisione di primo grado e procedendo ad una nuova liquidazione delle spese.

Infine, va ritenuta l’inammissibilità della sesta censura che nel dedurre un vizio di omessa o apparente motivazione non si premura di indicare in cosa consisterebbe tale omissione ovvero apparenza, seppure a fronte di una pronuncia che reca una chiara esposizione degli argomenti e delle ragioni poste a fondamento del rigetto delle domande dell’originaria attrice.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non deve farsi luogo ad una pronuncia sulle spese del giudizio in mancanza di difese svolte da No Trafic Srl e B.B., rimasti intimati.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

  • P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

  • Gli Argomenti trattati

- VENDITA - Obbligazioni del venditore - In genere - Mancanza di qualità della cosa venduta - Azione di risoluzione ex art 1497 c.c. - Onere della prova - A carico del compratore - Fondamento.

  • La fonte

- CED Cassazione

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